Per gentile concessione dell'editore Keller, pubblichiamo un racconto inedito dello scrittore cecoslovacco Ota Pavel (1930-1973) tratto dalla raccolta La morte dei caprioli belli, oggi in uscita (pagg. 160, euro 13,50; una versione precedente, non integrale, uscì presso l'editore e/o nel 1994). Non è difficile capire perché Niente maiale!, critica lieve nella forma ma spietata nella sostanza, non passò il vagliò della censura. Ota Pavel fu un grande personaggio, per quanto poco noto dalle nostre parti. Nacque naque a Praga nel 1930 sotto il nome di Otto Popper, terzo figlio del commesso viaggiatore ebreo Leo Popper e della moglie gentile. Durante la Seconda guerra mondiale suo padre e i fratelli maggiori riuscirono a sopravvivere ai lager di Terezín, Auschwitz e Mauthausen. All'inizio degli anni Cinquanta fu assunto come giornalista sportivo alla radio cecoslovacca. Nel 1964 mostrò però i segni della malattia mentale alla base di una serie di ricoveri in ospedali psichiatrici. Tuttavia questo periodo difficile divenne anche quello più fecondo e creativo per la sua scrittura portando alla produzione di libri tra cui La morte dei caprioli belli.
Papà era tornato di nuovo alla terra. Ma non aveva piu i laghetti e le carpe che ci stavano dentro, ne i campi a Hrebec e il frumento che ci stava sopra. Gli restava la chata e sotto quella ci pescava gli abramidi, ma un bel giorno questi terminarono e fu la fine dei pesci.
Il presidente dello JZD (coop agricole, ndr) di Vrane, Rakosnik, gli mandò a dire se voleva dar da mangiare ai maiali. Si rianimò: «Finalmente un bel lavoro come si deve. Ci faro un sacco di soldi». Disse alla mamma: «Se vuoi, vieni a trovarmi». Si mise una coperta sulle spalle, come quando se ne andava in giro a piedi da giovane, e camminava lungo la chiusa e fischiettava. Fischiava bene, aveva labbra forti e sensuali, da giovane fischiettava alle donne Marinarella, e cosi risuonava per tutta la chiusa e nel paesetto di Skochovice la gente si guardava intorno, come se fosse in arrivo qualcuno che mancava ormai da lunghi anni. Voleva tirar su i piu bei maiali della Cecoslovacchia, quelli rosei e rotondetti che si mandavano sulle cartoline di Buon Anno insieme al quadrifoglio verde. Coi maiali forse ci dormiva pure, non si lavava per niente. I maiali prosperavano, il nostro papà deperiva. Quando la mamma lo venne a sapere, disse alla maniera ebraica che era meschugge, che poi sarebbe una via di mezzo tra il pazzo, lo svitato e lo stupido, caricò il carretto e così andava lungo la chiusa e pensava se doveva annegarsi in quell'acqua schifosa o invece tirare quella carretta, come la vita le ordinava. E andava nella notte perche la gente intorno non vedesse che alla sua bella età si tirava ancora appresso a un uomo.
Trovò il mio malconcio papà tra i maiali. Gli stava giusto dando da mangiare. Fece un gran sorriso alla mamma e non si distingueva troppo da quei suoi nuovi figli, forse aveva anche i pidocchi. Lei lo trascinò fuori dal porcile, lo strigliò nella vasca per sbollentare i maiali, gli lavò tutto, l'armamentario davanti e il sedere di dietro.
Là tirarono avanti insieme per un anno. Era un lavoro duro. Vicino al fiume non era un ambiente sano per i maiali, si prendevano malattie. I miei pensavano che fosse per la sporcizia, e cosi qualche volta si mettevano anche per terra e con gli spazzoloni sfregavano i trogoli e le porcilaie. Io andavo a trovarli e vedevo realizzare il socialismo nella prassi, non quel socialismo parolaio dietro un banco da oratore. Erano venuti qui con la speranza che ci sarebbero restati per sempre, ed erano finiti in ginocchio. La mamma portava via dalla stalla i porcellini morti tenendoli in braccio come se fossero i suoi bambini. Quella volta ero scappato nel bosco, non ce la facevo più a stare a guardare. E poi con uno sforzo in qualche modo sovrumano erano riusciti a risollevarsi. Gli avevano addirittura promesso un bel maiale come ricompensa. Papà già si arrampicava su quella vetta come quando era l'imbattibile campione del mondo nelle vendite. Avrebbe avuto di nuovo cosa distribuire. Vedeva già la maialatura, le salsicce di fegato col rafano, le botti di birra, i bambini. I nipotini che fanno i matti sui maiali. Si capisce che il maiale più bello e piu grazioso lo tirava su per sé. Aveva un grugnetto come un quadrifoglio di quelli che c'erano sul prato verde. Ogni tanto i miei andavano a guardare il maiale e pensavano al giorno che si sarebbe scaldata l'acqua e noi tutti saremmo arrivati con le automobili e coi treni.
Alla fine gli fecero sapere: niente maiale! Papà non disse nulla, aprì solo la porta della casetta dove abitavano e cominciò a portar fuori le cose. Il catino, i piumini, le coperte, un paio di sedie. Continuavano a stare zitti. Quando l'autocarro si fermò vicino alla casetta bassa, papa e mamma si guardarono e papà urlò rivolto al pendio, al fiume e a tutto il paese:
«Niente maiale!»
Si misero a ridere. E in macchina ogni volta che si guardavano, sbottavano:
«Niente maiale!»
E si baciavano, si abbracciavano e l'autocarro sobbalzava. Quel «Niente maiale!» poi nella nostra famiglia aveva sempre significato che avevamo perduto e al tempo stesso vinto e che la vittoria era piu grande della sconfitta.
Dallo JZD di Vrane avevano poi mandato al mio papà una curiosa lettera, in cui si diceva più o meno che quelli che avevano lavorato avrebbero anche pagato.
«Le rendiamo noto che all'atto della verifica dell'amministrazione del nostro JZD risulta per l'anno 1957 una unità di lavoro pari a meno 60 corone, quindi chiediamo il rimborso del suo debito nei confronti della cooperativa per un ammontare di 530,32 corone».
Papà ogni tanto sventolava la lettera e diceva: «Questa lettera entrerà nella storia come una riga del nostro scombussolato paese, oppure un giorno finiremo per riderci su?».
E finora nessuno gli ha dato una risposta.
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