Certo, i maestri vanno rispettati. Ma anche loro devono rispettarsi, se no, che maestri di vita sarebbero? Se buttano via le loro esperienze e i loro talenti scrivendo robe del tipo «Mario non è né un uomo né un animale. È una forza della natura, uno tsunami, uno sconvolgimento tellurico» o, peggio ancora, cavalcano l'onda della moda, loro che le mode dovrebbero dettarle con l'esempio quotidiano e non subirle, meritano ancora il rispetto dei più giovani? Formalmente sì, ma con un velo di tristezza.
Tristezza suscita la lettura di Il tuttomio di Andrea Camilleri (Mondadori, pagg. 147, euro 16). Nei suoi 87 anni, Camilleri ci ha dato molto, moltissimo. E non parliamo soltanto del suo figlio letterario e televisivo prediletto, Salvo Montalbano. Parliamo anche del lavoro di sceneggiatore per il teatro, della lunga carriera in Rai (Il tenente Sheridan, La donna di quadri, Le inchieste del commissario Maigret...), dei romanzi pre, durante e dopo Montalbano che sono piatti prelibati in cui la sicilianità diventa, come in tutti i «provinciali» di comprovato valore, centrale per non dire capitale, nel narrare l'Italia e l'italianità. E anche le sue uscite politiche, che alla parte avversa non vanno giù, se considerate con occhio freddo non ne scalfiscono l'immagine, al contrario, la rafforzano, proprio alla luce dell'ecumenicità della sua prosa.
Ma da qualche anno don Andrea si sta buttando via, sta sperperando il patrimonio d'autorevolezza accumulato in decenni di successi. Un po' di acredine nei confronti del mondo che non va come dovrebbe andare è normale, nei venerati maestri (almeno in quelli che, come il Nostro, ci fanno la grazia di non sospirare ogni due per tre «eh, ai miei tempi...»). E anche quel pizzico di ebbrezza, quel leggero frisson nel sentirsi vate servito e riverito nei salotti e nelle librerie è nell'ordine delle cose. Però l'oste che annacqua il proprio vino non rende un buon servizio né ai clienti né a se stesso.
Quando poi un maestro di finezza e ironia arriva a essere involontariamente comico come qui, in Il tuttomio, bisogna dirlo, a malincuore ma bisogna dirlo. Le esibizioni erotiche della protagonista Arianna, condite da sudore «verde scuro» (!), da pisciate a letto, da sogni che potrebbero essere sceneggiature alla Riccardo Schicchi (pace all'anima sua) fanno impallidire le 150 sfumature, sfornate in tre tranche, della signora Erika Leonard alias E. L. James. Fra uno zio che la violenta da ragazzina, un avvocato maniaco, un uomo dei boschi che la fa abortire e che è la brutta copia di Oliver Mellors, il guardiacaccia in L'amante di Lady Chatterley, un compagno impotente che le procura minchia (pardon, carne) fresca e poi si mette a guardare l'effetto che fa, un ragazzino di terza liceo che se ne innamora quando lei ha 33 anni e va a suonare la tromba (tromba, voce del verbo «trombare») sotto casa sua, questa Arianna, che ha tanta nostalgia per la saggezza popolare della nonna, fra un amplesso e l'altro si ricava un angolino domestico, il «tuttosuo», dove rifugiarsi e sottoporsi a sedute di psicanalisi con le bambole. Si ride ma si dovrebbe piangere quando uno come Camilleri scrive: «Lei ha una voglia matta di morderlo, ha assaggiato già la sua carne croccante come un biscotto, ma non può, teme di lasciargli i segni», oppure «Quel ragazzino, va bene che stimolato giusto rende assai, ma è complicato ed esasperante. Uffa!», o ancora «le lecca la nuca, spinge il sesso in resta contro le sue natiche, sbuffa d'impazienza come un torello».
Poi, a pagina 147, Camilleri torna per un attimo Camilleri, e scrive nella «Nota» d'essersi ispirato a Santuario di Faulkner e a «un tragico fatto di cronaca successo a Roma molti anni fa che coinvolse una coppia aristocratica e un giovane studente». Ma ormai la frittata è fatta. Cotta male, quasi cruda, rancida. E difficile da digerire per chi è abituato bene con il vero Camilleri.
In «Il tuttomio», Andrea Camilleri si è chiaramente ispirato a un celebre caso di cronaca nera della Roma bene risalente al 30 agosto 1970: un duplice omicidio con suicidio dell'omicida. L'omicida era il marchese Camillo Casati Stampa di Soncino, il quale uccise la moglie Anna Fallarino (nella foto sopra i due coniugi) e lo studente universitario Massimo Minorenti che aveva avuto una relazione amorosa con la donna.
Era stato inizialmente lo stesso marchese Camillo a spingere Anna fra le braccia del ragazzo (come molte altre volte era accaduto in passato con altri giovani pagati alla bisogna dal nobiluomo), per surrogare con il suo voyeurismo la sua impotenza. In «Il tuttomio» altre suggestioni letterarie confessate dall'autore sono «Santuario» di William Faulkner e «L'amante di Lady Chatterley» di David Herbert Lawrence.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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