Cultura e Spettacoli

Com'è difficile fare giustizia in una procura "imperfetta"

Nel thriller di Roberta Gallego, un ritratto realistico dei problemi pratici (e morali) che affliggono un tribunale e i suoi giudici

Com'è difficile fare giustizia in una procura "imperfetta"

Ci voleva Roberta Gallego, sostituto procuratore a Belluno, per darci un giallo godibile (Quota 33, Tea, pagg. 350, euro 13; in libreria il 9 maggio) e contemporaneamente un bel ritratto dal vivo di come funziona un tribunale. Niente di simile si legge nei romanzi di colleghi giudici da top ten come Giancarlo De Cataldo o Gianrico Carofiglio. Niente almeno che abbia questo grado di realismo.
L'autrice ci apre le stanze di una procura «imperfetta», quindi normale. Come in tutti i posti di lavoro, ci sono screzi, limiti tecnici, caos burocratico, scontri di (in)competenze, sprechi grotteschi pur in assenza cronica di fondi. La macchina della giustizia può andare in tilt per i motivi più meschini. Prendiamo un problema «insuperabile»: la divisione delle mansioni ai piani bassi dell'amministrazione. A chi tocca fare le fotocopie? A chi aggiustare le macchine inceppate? A chi cambiare il toner? Sciocchezze, in apparenza. Fino a quando alcuni criminali finiscono scarcerati perché le fotocopie inviate al tribunale del riesame sono illeggibili... Quota 33 però mostra tutte le magagne. L'incredibile trafila di autorizzazioni, con relative firme, necessarie a qualsiasi livello delle indagini: dallo sviluppo a colori delle fotografie alla richiesta di intercettazioni. Oppure le piccole rivalità tra carabinieri e finanza che ritardano le attività investigative. Via via che si sale di livello, le conseguenze di omissioni volontarie o semplici negligenze si fanno sempre più gravi. Nel romanzo si può quindi imparare il metodo migliore per imboscare una pratica: «non è quasi mai distruggerlo... bensì alterarne la fisiologica collocazione». Come? Manipolando al computer il codice di catalogazione, o collocando le carte nel fascicolo sbagliato. Che dire poi di una certa promiscuità fra accusa e difesa? A volte il rinvio di un processo può convenire a entrambe le parti, e così i tempi si dilatano all'infinito.

Infine c'è la legge. Non sempre aiuta a fare giustizia. La «ipertrofica frammentazione normativa» del diritto e della procedura penale sembra aver tenuto a battesimo due nuovi tipi di magistrato. Il primo sforna sentenze seriali, senza spessore, e «sposta l'accento professionale sulla visibilità del ruolo e sulla conseguente facile vetrina sociale». Il secondo approfondisce ogni questione con gusto bizantino, fino a dimenticare «le concretissime ragioni umane del popolo sovrano». Produce «sentenze sporadiche, simili a trattati dottrinali», depositate anni dopo la conclusione del procedimento.

I giudici di Quota 33 scherzano sulla Crime Scene Investigation e relativa serie televisiva. Sono fannulloni. Oppure cercano nel super lavoro la compensazione di una vita privata ormai andata a rotoli. Insomma: hanno caratteri diversi, a volte inconciliabili. C'è l'inflessibile ed efficiente Arcais. Ma anche il conciliante Mascherini, che evita «con cura di approfondire le scarne comunicazioni di reato». E c'è il dubbioso Guarnieri, che ama lavorare con il maresciallo Alfano, un investigatore tanto abile quanto tormentato. Proprio questi ultimi sono i protagonisti della storia principale, l'indagine sul brutale omicidio di un'emigrata dalla Romania. Una ex puttana di lusso che introduce Guarnieri e Alfano nel mondo della criminalità organizzata con forti interessi nella politica. Il «caso» rischia di scoppiare tra le mani di Guarnieri, obbligato a scegliere: processo scandalo, con prove indiziarie non schiaccianti, o archiviazione nonostante la personale convinzione di aver individuato l'assassino? Un dilemma descritto dal capo della procura, a cui Guarnieri si rivolge per consiglio, in questi termini: «Si ricordi: non è la decisione giuridicamente corretta che fa di lei un buon magistrato, ma la sola, tra quelle giuridicamente corrette, che sia intellettualmente onesta. La Giustizia è una forma di etica amorale, una sorta di acqua trasparente, senza il colore delle idee, senza il calore delle fedi, che dovrebbe solo aiutare a pulire e che noi magistrati troppo spesso contrabbandiamo per acqua santa destinata a purificare, così sacralizziamo la nostra funzione e consacriamo il nostro potere».

Cosa farà Guarnieri? Al lettore il piacere di scoprirlo. A noi quello di segnalare un libro fuori dagli schemi, capace di toccare i toni della commedia oltre a quelli del thriller.

Senza scordarsi di mostrare come sia difficile amministrare la giustizia, e quale inquietudine morale possa turbare chi esercita il potere giudiziario con coscienza.

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