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Ma com’è «fantastico» leggere i film

I libri di cinema cadono in mezzo: spesso chi va al cinema non legge e chi legge non studia il cinema. A dispetto del titolo e del sottotitolo, Vita dei fantasmi. Il fantastico al cinema di Jean-Louis Leutrat (Le Mani, pagg. 234, euro 15) si rivolge più a chi solo legge che a chi solo va al cinema. Presuppone infatti una cultura letteraria e un’infarinatura filosofica per esaminare un genere che è considerato per ragazzini. Indiscutibilmente e giustamente costoro adorano il fantastico, ma comprensibilmente s’infischiano di sapere perché. Restano allora i cinquantenni colti per interessarsi al saggio di Leutrat, che soffoca le intuizioni nell’erudizione del lavoro universitario.
Meno ambizioso è Ebraismo e cinema, a cura di Giulio Martini (Centro Ambrosiano, pagg. 302, euro 18), dove lo stesso Martini censisce cineasti ebrei e loro opere più ebraiche. Se gli altri coautori scelgono percorsi religiosi e sociologici, Martini si chiede quanto corrisponda un film alla cultura dell’autore. Però un film è opera collettiva: vi confluiscono talenti di soggettisti, sceneggiatori, attori e registi, oltre che investimenti di produttori e distributori. Quindi l’informazione di Martini resta utile, ma la reale paternità di questi - e di ogni altro - film è meno certa.

Sicuramente e prevalentemente ebraica: ma di quale ebreo? La storia personale di chi veniva da uno shtetl ucraino e di chi veniva da Vienna o Berlino, da Budapest o Roma non sono state identiche. Le sbavature (improprietà, nomi ripetuti nello stesso elenco, errori di stampa) danno poi l’impressione che Martini abbia lavorato lodevolmente, ma in fretta.

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