Le "cronache morali" di Bradbury

Scelte etiche, valori della famiglia e difesa della vita: un'autoantologia tutt'altro che fantascientifica

Le "cronache morali" di Bradbury

Per capire che cosa distingue l'umano dal disumano, Ray Bradbury si è imbarcato in un colossale viaggio nell'universo della letteratura. Migliaia e migliaia di pagine, divise in romanzi, racconti, sceneggiature. Da qualche tempo in libreria è atterrato un imponente monolite, i Cento racconti. Autoantologia 1943-1980 (Mondadori, pagg. 1342, euro 29; con un'intervista finora inedita). In questo volume, Bradbury ha selezionato il meglio della propria sterminata produzione. C'è moltissima fantascienza ma non mancano singolari storie horror, ritratti della provincia americana, piccoli-grandi apologhi morali.
Che descriva i coloni di Marte o un ragazzino in angosciante attesa del fratello, lo sguardo di Bradbury non cambia. A lui interessa cercare la verità. Per arrivare alle cose ultime, quelle che danno o tolgono senso alla vita, Bradbury costruisce grandiose utopie o altrettanto grandiose distopie (come nel suo romanzo più noto, Fahrenheit 451). Il risultato è sempre lo stesso: gli uomini si trovano in una situazione strana in un mondo stranissimo ma possono trionfare, o quantomeno resistere, se si comportano in modo etico. Una lezione, a dire di Bradbury, appresa da narratori umili (secondo i canoni della critica snob) quali Jules Verne o Edgar Rice Burroughs.
Nei racconti ci sono splendidi personaggi. Senza perdere in spessore psicologico, essi sono l'incarnazione di idee. A esempio, l'idea che la tecnologia e il progresso siano auspicabili soltanto se al servizio dell'uomo. Non è affatto una prospettiva passatista, Bradbury è tutt'altro che refrattario al progresso (anche se i suoi biografi ne hanno sottolineato la diffidenza per ebook et similia). Si legge ne La gita di un milione di anni, storia di una famiglia in fuga dalla Terra: «La scienza è corsa troppo avanti a noi, e troppo presto, e gli uomini si sono smarriti nel deserto meccanizzato come bambini che si balocchino con attraenti congegni, elicotteri, razzi; dando rilievo agli aspetti meno degni, dando valore alle macchine anziché al modo di servirsi delle macchine».
A proposito di famiglia. In quali altre raccolte di fantascienza s'incontra un numero così alto da essere sbalorditivo di padri e figli in cerca (e in soccorso) gli uni degli altri? In Bradbury perfino i vampiri non possono vivere al di fuori della soltanto in apparenza convenzionale famiglia borghese... In che cosa consiste l'orrore? Le paure più grandi sono la ribellione violenta dei figli, come nel magistrale The Veldt, o la mancata attenzione del padre, come nell'altrettanto magistrale Rocket Man. In quest'ultimo racconto, un guidatore di razzi interstellari non riesce ad abbracciare fino in fondo ciò che avverte come verità assoluta: «Il mare e la città, la Terra e la famiglia erano le sole cose vere, le sole cose buone».
Non stupisce dunque che Russell Kirk, l'autore di The Conservative Mind, abbia visto in Bradbury un compagno di strada, da collocarsi accanto a Lewis e Tolkien. Secondo Kirk, Bradbury «ha sfoderato la spada contro il materialismo cupo e corruttore del secolo XX; contro l'idea di una società ridotta alla mera dinamica produttore-consumatore; contro la bruttezza del vivere moderno; contro il potere senza criteri; contro l'ossessione sessualista; contro l'intellettualismo vuoto; e contro la retta ragione pervertita nel giro mentale di chi dipende solo dalla televisione. I suoi marziani, i suoi spettri e le sue streghe non sono infatti un intrattenimento che distrae; al contrario, essi diventano, per vie misteriose, i difensori della verità e della bellezza» (cito da Enemies of the Permanent Things, 1969).
Bradbury, come si diceva all'inizio, cerca sempre l'umano, anche nel disumano. Ne Le sfere di fuoco, il padre missionario chiamato a convertire le misteriose forme di vita marziane, luci baluginanti tra i valichi di montagna del pianeta rosso, espone un punto di vista vicino a quello dell'autore: «Se domani scoprissi che gli elefanti marini posseggono il libero arbitrio e capacità d'intelletto, la facoltà di riconoscere un'azione malvagia e il valore dell'esistenza, che significa temperare la giustizia con la misericordia e la vita con l'amore... se scoprissi tutto questo, potete star certi che andrei a costruire una cattedrale sotto il mare». Ecco dunque «il valore dell'esistenza»: molto cristiano, come si vede, anche se la spiritualità di Bradbury era decisamente fuori da ogni schema.
In una famosa intervista rilasciata a Oriana Fallaci, e pubblicata nel 1968 sull'Europeo, Bradbury spiega alla giornalista perché sia necessario conquistare lo spazio.

Dice lo scrittore: «Scordiamo il nostro sistema solare, scordiamo il nostro corpo, la forma che aveva, queste braccia queste gambe questi occhi, diventiamo non importa come, diventiamo licheni, insetti, sfere di fuoco, non importa cosa, importa solo che in qualche modo la vita continui, e con la vita continui la coscienza di ciò che fummo e facemmo e imparammo: la coscienza di Omero, la coscienza di Michelangelo, la coscienza di Galileo, di Leonardo, di Shakespeare, di Einstein! E il dono della vita continuerà in eterno».
La Fallaci, nel passaggio successivo, commenta così: «Ecco. Questa fu la risposta. E a me parve una bellissima preghiera».

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