D ei delitti e delle penne. Le relazioni, proibite e dangereuses, fra crimini e letteratura risalgono all'alba della civiltà: i libri finiti in tribunale, processati, oggetto di censura e sequestri, potrebbero riempire intere biblioteche. E molti tomi. Solo quello pubblicato da Antonio Armano dal titolo Maledizioni, e riguardante, come spiega il sottotitolo «Processi, sequestri e censure a scrittori ed editori in Italia dal dopoguerra a oggi, anzi domani» (Nino Aragno editore) conta più di 400 pagine, con un cd allegato che raccoglie un ricchissimo e inedito materiale giudiziario: sentenze, requisitorie, memorie difensive. Un'opera straordinaria, frutto di un lunghissimo lavoro compiuto sul campo, perquisendo archivi di Stato, tribunali e fondazioni di case editrici, che si presenta come un'inchiesta - divisa in 50 casi - sul rapporto fra Legge, comune senso del pudore e politica da una parte, e libertà di espressione, concetto di «arte» e spirito dei tempi dall'altra. In mezzo, un'ininterrotta persecuzione di romanzi maledetti, finiti a giudizio nell'Italia fra gli anni Cinquanta e oggi, o per vilipendio della religione, o per diffamazione, o - soprattutto - per oscenità. Un saggio giuridico-letterario rigorosissimo e pieno di episodi inediti o semisconosciuti, fra i quali spiccano alcuni casi. Questi.
MASTURBARSI PRIMA DI SCRIVERE Luigi Galeazzo Tenconi, in arte Louis Dugal, per Le memorie di una cameriera (1948), Giuseppe Iorio per Il fuoco del mondo (che stava andando in stampa nel novembre 1948, ma non venne neanche rilegato perché un'operaia della stamperia, scandalizzata, lo segnalò alla Questura), Bernardino Del Boca per l'omoerotico La lunga Notte di Singapore (1952) e Giuseppe Murgia (al quale Elsa Morante raccomandava «quando scrivi di sesso prima masturbarti», per mettere una distanza di sicurezza tra il testosterone e il testo) per il romanzo Il ragazzo di fuoco (1960) sono gli unici scrittori condannati in Italia in tutti i gradi di giudizio. Fra istruttoria e primo grado se la cavarono invece, fra gli altri, Pasolini, Moravia, Testori, Bianciardi, Tondelli e Aldo Busi, che in aula ci andò con uno smoking bianco e, dopo la lettura della sentenza, che lui sperava sfavorevole per ottenere maggiore pubblicità, telefonò alla mamma: «È andata male - le disse -. Mi hanno assolto».
TRASGRESSIONI CATTOLICHE La studiosa Alessandra Cenni, autrice nel 2002 della biografia della poetessa Antonia Pozzi In riva alla vita (Rizzoli), in cui si parla per la prima volta apertamente della relazione tra la poetessa, allora liceale (siamo negli anni Trenta, si suiciderà nel '38), col suo professore di latino e greco Antonio Maria Cervi, e di un possibile aborto, viene portata in tribunale da una nipote del Cervi. Dalla biografia l'immagine della Pozzi, custodita gelosamente insieme ai suoi manoscritti dalle suore del Preziosissimo Sangue, ne usciva pesantemente intaccata. La Cenni, querelata per diffamazione, è stata assolta due volte e ora si attende la Cassazione. Sulla poetessa ci sono due film in lavorazione.
CONFRONTI Alberto Moravia sosteneva che gli scrittori dell'Ottocento, rispetto ai contemporanei, erano molto più bravi in tutto: trame, personaggi, stile, scrittura... Tranne che nel sesso. Poi arrivò Freud.
SCELTE SUICIDE Pamela Moore pubblicò in Italia il suo romanzo più famoso, Cioccolata a colazione, nel 1957, da Mondadori. Un «libro sulle ragazze ma non per ragazze» che vendette oltre centomila copie fino a che, nel '60 fu sequestrato. A processo l'imputato era Alberto Mondadori, per avere pubblicato il libro. I successivi titoli della Moore (Baby da un miliardo e Il maneggio) furono bloccati dalla casa editrice italiana, per non inimicarsi i magistrati. La Moore ruppe così con Mondadori e i volumi uscirono con Sugar. Appena avuto un figlio, nel '64, la Moore si suicidò con un colpo di carabina, a 27 anni. Quattro mesi dopo arrivò l'assoluzione e Mondadori rimandò in circolazione il libro. Il figlio della Moore, che si trovava nella stanza di fianco a quella dove la madre si sparò, sta scrivendo un saggio sulla vicenda, nel quale sostiene che una assoluzione più veloce avrebbe potuto influire positivamente sulla difficile situazione psicologica della madre. Cioccolata a colazione è tornato da poco a circolare negli Usa, e forse riuscirà anche da noi.
BEAT, BATTUTI E BEATI Giangiacomo Feltrinelli negli anni '60 fu processato in primo grado a Varese e in appello a Milano per I sotterranei di Jack Kerouac. Al processo testimoniò il mitico Barney Rosset, editore trasgressivo americano che ha pubblicato Lawrence, Miller e altri scrittori in odore di scandalo. Secondo il pm italiano i beat erano una manica di sfaccendati e falliti, e anche per questo il libro doveva essere condannato per oscenità.
VECCHI MAESTRI E GIOVANI PROMESSE Riccardo Bacchelli difese molti scrittori sotto processo. Ma non Luciano Bianciardi. Non era abbastanza importante.
IL MURO DEL PIANTO Nel '47 un avvocato milanese dell'Azione cattolica denunciò Jean-Paul Sartre per la raccolta di racconti Il muro (usciti da Einaudi), e a Torino - dove non si vedeva un processo per oscenità dai tempi di Pitigrilli - si svolse un processo che mobilitò l'Italia. La denuncia prese avvio da un articolo, sulla prima pagina del Corriere della sera, in cui il critico Antonio Baldini definisce il libro un campionario di «puzzonate» e se la prende con la traduttrice, Elena Giolitti, moglie di Antonio Giolitti, deputato del Pci e nipote dello statista. Il difensore di Sartre, o meglio del suo editore italiano, Giulio Einaudi (il cui padre stava per essere eletto presidente della Repubblica), fu Norberto Bobbio, che non amava per nulla lo scrittore francese ma che scrisse una lunga memoria difensiva, finora inedita (è agli atti). La morale è che spesso sono i giornalisti che rischiano di trasformare autori spregiudicati in pregiudicati.
GIORNI DI SANGUE Sul famoso processo a Milena Milani (morta lo scorso luglio) per il romanzo La ragazza di nome Giulio edito da Longanesi, nel 1964, si sa tutto. Ma non che la scrittrice fu assolta in secondo grado, dopo la condanna in primo, grazie all'intervento di uno scrittore che conosceva personalmente un magistrato del collegio giudicante. Si tratta di Luigi Santucci, un cattolico di ferro. Altra novità: il passo che più infastidì i giudici di primo grado non era quello dell'evirazione finale, ma quello delle prime mestruazioni della protagonista.
CENSURA ROSSA A volte sono più bigotti i comunisti che i cattolici. Italo Calvino ad esempio.
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