Il Duce trasformista che fece di tutto per riconciliare fascisti e socialisti

La Storia non insegna un bel niente: gli uomini ripetono gli stessi errori, e i popoli non riescono ad affrancarsi dalla forza del destino che, per noi Italiani, ha un nome: «trasformismo». È una condanna a cui non sfugge neppure il periodo che più di tutti ebbe connotati di netta e spietata contrapposizione, quello della guerra civile 1943-45, e che solo recentemente comincia a essere analizzato sine ira ac studio, come fa un brillante studioso, Stefano Fabei, in un approfondito studio di prossima pubblicazione per Mursia, I neri e i rossi. Tentativi di conciliazione tra fascisti e socialisti nella repubblica di Mussolini (pagg. 496, euro 22), che ci svela gli inediti retroscena che accompagnarono la fine del fascismo repubblicano.
L’autore ricostruisce le manovre della cosiddetta «operazione ponte», ossia il tentativo di Mussolini di sfruttare la collaborazione di elementi moderati presenti in entrambi gli schieramenti per consegnare il potere al Cln. Non a caso, infatti, aveva dato spazio, nella Rsi, a quel «Raggruppamento Nazionale Repubblicano Socialista» del filosofo Edmondo Cione, che tanti sospetti aveva destato sia tra i fascisti che tra gli antifascisti. Se tutto fosse filato liscio, il Duce avrebbe realizzato le sue aspirazioni, evitando al popolo altre inutili sofferenze e coronando il suo vecchio sogno di socialista, passando la fiaccola della Rivoluzione Fascista ad altri rivoluzionari, come lui repubblicani e socialisti, anche se di parte avversa.
Nel ricostruire minuziosamente i fatti, Fabei fa emergere le molte contraddizioni. A esempio, il Mussolini che il 23 marzo 1945, a Bogliasco, chiama alle armi le camicie nere, un mese dopo, il 22 aprile 1945, consegna al giornalista Carlo Silvestri una proposta di accordo da recapitare all’esecutivo Psiup. L’offerta è di totale disponibilità affinché il Partito Socialista, con il tacito accordo del Pci, assuma il potere e, addirittura con la collaborazione di alcuni reparti dell’esercito della Rsi prenda in consegna Milano. La lettera recita: «Poiché la successione è aperta in conseguenza dell’invasione angloamericana, Mussolini desidera consegnare la Repubblica Sociale ai repubblicani e non ai monarchici; la socializzazione e tutto il resto ai socialisti e non ai borghesi».
Queste parole sono il frutto di quasi un anno di lavoro, indirizzato a trovare una via d’uscita realistica al di là dei proclami. I neri e i rossi racconta questa vicenda con dovizia di particolari, mettendo in luce fatti che quasi tutti i protagonisti hanno preferito rimuovere, per un motivo o per l’altro. Gli antifascisti, perché con la demonizzazione del fascismo non avrebbero mai potuto ammettere contatti con gli intoccabili, e i fascisti perché non avrebbero mai voluto essere complici di ciò che, nel dopoguerra, sarebbe apparso un ingiustificabile tradimento. Lo storico Giuseppe Parlato, che introduce il volume di Fabei, mette in guardia da facili semplificazioni, e sottolinea i molteplici obiettivi che l’«operazione ponte» si prefiggeva, e che col senno di poi sarebbe troppo facile, e ingiusto, liquidare come troppo ingenui o troppo furbi. In fondo, sono molte e inconciliabili le diverse nature del fascismo repubblicano: da una parte i mistici, come Pavolini e Mezzasoma, che cercano la bella morte per concludere degnamente la loro intensa vita; poi i realisti, come i «pontieri», che cercano una soluzione soprattutto «politica»; infine i giovani, idealisti ma consapevoli che il Fascismo non può finire con Mussolini, che volgono lo sguardo verso gli altri fascismi europei, quello germanico in testa.

E saranno questi, i cosiddetti «figli del Sole», a caratterizzare maggiormente il neofascismo italiano, mentre gli altri, i realisti, saranno presto dimenticati, e lasciati liberi di costruirsi un’altra, immacolata, identità politica nell’Italia del dopoguerra.

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