Ecco i segreti per diventare un fallito di gran successo

È nato in Russia, emigrato negli Usa e diventato romanziere per reagire alla sfiducia dei suoi genitori. Missione compiuta con grande senso dell'umorismo

Ecco i segreti per diventare  un fallito di gran successo

nostro inviato a Mantova

La madre, più o meno amorevolmente, in una curiosa fusione di inglese e russo, lo chiamava failurcka , «piccolo fallimento». E, smentendo le fosche previsioni materne, Gary Shteyngart, 44 anni, nato a Leningrado (il suo vero nome, prima di cambiarlo in Gary, era Igor Semyonovich), ebreo («ma a New York sono tutti ebrei, ho solo un amico che non lo è, e non ho capito ancora cosa fa nella vita»), nazionalità statunitense e una cattedra alla Princeton University, è diventato l'autore di riferimento della sua generazione, vero nome di culto della letteratura americana: come dice di lui Jay McInerney, uno scrittore «imprescindibile». Alla faccia del fallimento. «Quando i tuoi genitori ti chiamano così da piccolo, l'unico modo per non esserlo davvero da grande è metterti a lavorare come un matto per cercare di fare sempre qualcosa di più rispetto agli altri. New York o la Silicon Valley sono pieni di immigrati russi che lavorano 24 ore al giorno per non deludere le mamme. Buona parte dell'economia americana è sulle spalle dei loro genitori».

Nato da genitori russi a San Pietroburgo, quando ancora si chiamava Leningrado («Il ricordo più forte che ho della città? L'odore della metropolitana: gommoso. Anche quella di Roma ce l'ha, ma non così buono»), trasferitosi da bambino in America («Primo ricordo: l'area degli sbarchi internazionali dell'aeroporto di New York. Sembrava una stazione spaziale, come atterrare dentro un mondo di fantascienza, noi al massimo avevamo dei parcheggi con due-tre aerei dell'Aeroflot»), Gary Shteyngart - che crebbe nel culto di Ronald Reagan, senza tv in casa e parlando malissimo l'inglese - ha scritto il suo primo romanzo ( Il manuale del debuttante russo , uscito nel 2002, subito acclamato dalla critica) durante un soggiorno in Europa, a Praga («Negli anni Novanta gli americani pensavano fosse una specie di Parigi degli anni Venti, ma Hemingway e Steinbeck non si sono mai fatti vedere quando c'ero io. Passavo le sere nei pub a bere birra, aspettando...»). E aspettando ha scritto anche Absurdistan , del 2006, una satira irriverente dell'universo postsovietico diventato un romanzo-culto, incluso nella lista dei dieci migliori libri dell'anno dal New York Times , e nel 2010 Storia d'amore vera e superstite che in America ha scalato le classifiche, ri-conquistato i critici letterari ed è stato opzionato per una serie tv («Il cinema è morto. Del resto, i maggiori prodotti culturali degli ultimi dieci anni sono Breaking Bad e Mad Men »). Oggi riverito e vezzeggiato da editori, università e giornali, vive a due ore di macchina da Manhattan, che dopo averci vissuto un po', nel Lower East Side, ha abbandonato per noia («Un'isola di miliardari cinesi, russi e arabi che comprano appartamenti in cui vanno una volta all'anno. Se guardi i grattacieli di sera vedi che al massimo ci sono accese due luci»). Insomma, partito dall'Urss di Breznev che era un moccioso, è arrivato nell'America dei neo-hipster dove è il più brillante scrittore americano contemporaneo. Il momento perfetto pubblicare Mi chiamavano Piccolo Fallimento (Guanda) - memoir (auto)ironico, divertente, malinconico e irresistibile - che viene presentato oggi al festival di Mantova. Quindi, quanto più i genitori azzerano la tua autostima, più tu ti darai da fare per smentirli? «Se ti fanno capire che nella vita sarai un fallito, hai due sole possibilità: o ti abitui alla cosa, e lo diventi. Oppure fuggi, trovando un tuo mondo dove esprimerti. A esempio diventando scrittore».

Scrittore adorato dagli scrittori americani (a lui invece piacciono gli americani che arrivano da fuori l'America: Zadie Smith, «molto intelligente nel trattare il multiculturalismo», e Aleksandar Hemon, «bravissimo a narrare in modo umoristico il dramma della ex Jugoslavia»), Gary Shteyngart ha affrontato e vinto la sfida di uno che è arrivato da fuori l'America grazie a due cose: lo humour - «il più grande contributo dato dagli ebrei all'umanità, più del Talmud» - e la scrittura: «Io sono russo, ebreo, nazionalizzato americano: ma quando scrivi gli accenti non si sentono, e ti trovi molto più a tuo agio».

Autore di romanzi fanta-ironici, sferzanti, pieni di sarcasmo, atrocità psicologiche e battute scorrette, Gary Shteyngart con la sua ironia sgretola ogni cosa: luoghi comuni, pregiudizi, imbecillità, snobismi, sentimentalismi... («Se è giusto ridere su tutto? Assolutamente sì. Se sei uno scrittore puoi. Ma devi farlo in modo intelligente»). Lui è così: è divertente, e sembra divertirsi sempre. Anche se i tempi, letterariamente parlando, non sono così belli. «Non so da voi, ma negli Stati Uniti gli scrittori ormai finiscono per fare gli insegnanti: nessuno vuole leggere, ma tutti vogliono imparare a scrivere. Io ci metto tre anni a finire un libro, e un anno intero per tentare di farlo leggere. Conosco tutti i trucchi. Per anni sono stato un mago dei blurb, le frasi-acchiappa lettori da mettere sulla copertina dei libri.

Poi ho iniziato a girare booktrailer: per attirare nuovo pubblico. Ormai per vendere un romanzo, prima devi girare un film». E dopo? «Dopo inizi a girare per tutto il Paese, a presentarlo, come un venditore ambulante: parti da New York e arrivi in Ohio. O a Mantova».

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