Per gentile concessione dell'editore, pubblichiamo un brano del nuovo romanzo di Enrico Brizzi O la va o la spacca (Barbera, pagg. 144, euro 13,90), in libreria dalla prossima settimana. Una travolgente commedia nera «generazionale» ambientata in un angolo del Nord industrioso e provinciale. Lui è un ricco quarantenne, lei una ex ballerina. E poi c'è la madre di lui...
«Rilassati, cucciolo» sibilò la donna e, presa la mano di Umberto, lo guidò ancheggiando verso la camera da letto. «Ci sono io, adesso, a prendermi cura di te».
Era nuda ad eccezione delle pedaline viola decorate di piume e, in testa, portava la parrucca bianca da dama del Settecento che a lui piaceva tanto.
Umberto si lasciò condurre verso il cuore dell'appartamentino da cinquanta metri, e provò un brivido d'orgoglio nel notare che, sul copriletto di raso fucsia, troneggiava la pantera in peluche, il suo primo regalo per Vanessa.
«Ci dormi insieme?» domandò. Voleva essere un commento spiritoso, invece la voce gli uscì indecisa, come quella di un ragazzino.
«Solo con lei» garantì Vanessa. «Mi ricorda di quanto possiamo stare bene insieme».
Avevano trascorso un finesettimana ad Abano Terme, il mese prima, e lui, per la prima volta, aveva dormito insieme a una donna dopo averci fatto l'amore.
Quella stessa donna di quarantadue anni improvvisò un ruggito mentre sfilava la giacca di lui, un modello in panno di taglio giovanilista e marina-resco, corredato da ricercati bottoni color senape. Umberto l'aveva ritirata il giorno prima dai Fratelli Villalta, sotto i portici di Piazza Grande; la firma d'uno stilista emergente e il vezzo dei bottoni colorati facevano lievitare il prezzo oltre i 700 euro, e i Villalta gli avevano assicurato che nessun altro, in città, poteva pavoneggiarsi fasciato da una meraviglia del genere. Così lo colse un brivido di turbamento, quando Vanessa lasciò cadere la giacca sul finto parquet ai loro piedi. Aveva udito distintamente l'urto dell'iPhone aziendale sul pavimento e, per un attimo, gli suonò in testa come un cattivo presagio la voce chioccia e altisonante di sua madre che lo rimproverava per avere scheggiato il telefono. La vecchia ci andava a nozze, con queste cose. Défaillance, le chiamava. Le défaillance del mio Bubi.
«Qualcosa non va, cucciolo?» domandò Vanessa. Era stata cantante e ballerina, in gioventù, e continuava a pensare a se stessa come a una performer, una pedina sulla scacchiera dell'industria dell'intrattenimento: il suo compito era ancora quello di distrarre gli uomini, e far loro dimenticare i propri demoni.
Umberto si limitò a mormorare uno: «Scusa» qualsiasi, per chinarsi a raccogliere l'iPhone dalla giacca. Sembrava intatto: il guscio di gomma tempestato di teschi, acquistato il mese prima all'aeroporto di Francoforte, aveva fatto il suo lavoro. «Lo metto in modalità aereo» annunciò, per giustificarsi. «Così dalla ditta non rompono».
Vanessa, sorridendogli come faceva a tanti altri, sussurrò: «Non ci pensare, amorino». Accennando una piccola danza lasciva, lo spinse spalle al muro, per inginocchiarsi di fronte a lui e liberare dall'intralcio della cintura i calzoni gialli con inserti scamosciati da 250 euro, in teoria ispirati al mondo del golf.
Molti peluche li osservavano dalle scansie economiche allineate sulla parete opposta: c'erano Snoopy e il gatto Garfield, ma anche animali generici, fra i quali Umberto riconobbe una foca, un tenero koala e una specie di Bambi. Provò a dimenticare chi poteva averli regalati a Vanessa.
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