L o stemma dei partigiani d'Italia e dell'associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia sul volantino che annuncia un incontro pubblico dove si parlerà di foibe ed esodo divide sicuramente gli animi, ma è una novità. Venerdì alle 16.45 nel municipio di Padova i rappresentanti dei giuliano dalmati ed il coordinatore regionale dell'Anpi del Veneto, Maurizio Angelini, affronteranno gli opposti pregiudizi, senza peli sulla lingua. Per la prima volta verrà affrontato di petto uno degli ultimi tabù, a cominciare dal titolo dell'incontro pubblico, che spiega tutto: «Ci chiamavano fascisti, ci chiamavano comunisti. Siamo italiani e crediamo nella Costituzione».
Dopo 70 anni il solco è ancora profondo, ma a Padova provano a rompere il ghiaccio. «Dopo il 10 febbraio, giorno del ricordo dell'esodo, i partigiani mi hanno invitato da loro nella tana del lupo - racconta Italia Giacca, presidente provinciale dell'Anvgd esule istriana all'età di 6 anni - Ho sentito un intervento storico equilibrato sul fascismo e le nostre tragedie. Il presidente regionale dell'Anpi ha detto rivolto agli esuli: A questo punto sento di dovervi chiedere scusa. Così è nata l'idea dell'incontro pubblico di venerdì».
Angelini interverrà assieme al socio Anpi, esule da Pola, Sergio Basilisco. «Le scuse non vanno a chieste a me, bensì a tutti quelli che hanno avuto pregiudizi, da una parte e dall'altra - spiega a il Giornale - Chi sputava agli esuli appena arrivati in Italia ha fatto qualcosa di ignobile, ma il sindaco comunista di Venezia accoglieva i profughi di Pola». Il coordinatore dell'Anpi sottolinea le colpe di Mussolini, ma ammette che «se nel passato abbiamo sostenuto l'equazione profughi istriani uguale fascisti abbiamo sbagliato».
Da una parte e dall'altra non mancano lettere di protesta. Via Facebook si sono scatenati gli esuli che considerano l'iniziativa «una vergogna». Massimiliano Lacota, presidente dell'Unione degli istriani si chiede «cosa abbiano in comune Anpi e Angvd. Quando i partigiani ammetteranno che l'esodo fu pulizia etnica ne riparleremo».
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