Oggi l'Unità compie novant'anni e, anche se non si usa fra testate avverse, mi associo agli auguri. Ci volle coraggio per fondare l'Unità nel '24, va reso onore all'intelligenza ardita di Gramsci. Poi l'Unità diventò l'organo del comunismo filosovietico, allineato a Stalin e a Breznev. Ma finiva pure nelle mani di operai e braccianti, che erano sporche solo del loro onesto lavoro. Ricorderò dell'Unità la firma che portò nel tetro comunismo una nota di brillante sarcasmo. Dico di Fortebraccio che per più di vent'anni scrisse corsivi frizzanti e faziosi sull'arcigna prima pagina del quotidiano. Era l'unica firma del giornale che piaceva anche ai buongustai di destra. Elegante nei suoi micidiali ritratti, surreale come Campanile, Fortebraccio - nome di battaglia di Mario Melloni - era cattolico, già direttore del Popolo, espulso dalla Dc da Fanfani.
In quel tempo la satira era qualunquista o destrorsa, veniva da Longanesi e Maccari, Flaiano e Guareschi, c'era Marcello Marchesi per gli apolitici e Gianna Preda per i destrorsi, ma Fortebraccio, pseudonimo d'estrazione shakesperariana, riuscì a portarla anche nell'organo austero del Pci, tra i compagni trinariciuti. Poi arrivarono Michele Serra, Tango e Cuore. Quando Berlinguer fu preso in braccio da Roberto Benigni, la sinistra finì nelle mani della satira. Memorabili gli sfottò di fioretto tra Fortebraccio e Montanelli, divisi dal comunismo, uniti dall'ironia. Celebre il loro amore segreto, i loro incontri immaginari coi baffi finti per abbracciarsi dopo le reciproche frustrate sui rispettivi giornali.
Fortebraccio morì col comunismo nell'89, cadde col muro di Berlino.
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