Cultura e Spettacoli

Gracq e la "Libertà grande" di inseguire la perfezione

Esce una raccolta di testi visionari e inattuali dello scrittore francese che rifiutò il Goncourt

Gracq e la "Libertà grande" di inseguire la perfezione

Louis Poirier, figlio di commercianti della Loira, doveva essere insopportabile. Possedeva l'acribia degli indifesi, la crudeltà bassa degli uomini di provincia, lo splendore di chi sa non perdonare. Fu insegnante al liceo e tenente a Dunkerque: arrestato dai tedeschi, lo spedirono in Slesia; i compagni di prigionia ricordano che era sorretto da una disciplina del disprezzo. Era stato, come tutti, comunista: la canonica gita in Unione Sovietica lo convinse che non faceva per lui, «non ho fede nella politica, non mi interessa neppure come giudizioso esercizio per lo spirito», e finì lì. Nello stesso anno, Louis indossa il nome d'arte, Julien Gracq (1910-2007): un omaggio al Julien Sorel di Stendhal e alla cupa ferocia dei corvi; il viso di Julien Gracq, effettivamente, gracchiava. Ad André Breton, che pure ammirava il surrealismo di Gracq è però per lo più un frainteso , preferiva Ernst Jünger: la lettura di Sulle scogliere di marmo l'aveva folgorato; il tedesco, dal canto suo, mostrò di apprezzare i silenzi di Gracq s'incontrarono a Parigi, nel '52, piacendosi e quei romanzi granitici, «dopo la morte di Marcel Jouhandeau, è quello che scrive la miglior prosa francese».

Fu fedele, sempre, all'editore José Corti, che senza battere ciglio gli aveva pubblicato il primo libro rifiutato da Gallimard , Au château d'Argol. In un pamphlet che all'epoca fece scandalo, La Littérature à l'estomac (1949), Gracq massacra il sistema della cultura francese, inquinato da un «mormorio da folla pacchiana, instabile», dall'«avida necessità del nuovo», dalle «chiacchiere, gonfie di echi, infide dicerie dietro le quinte». Malediceva, insomma, l'editoria schiava del mercato e lo squallore dei premi letterari. Quando, due anni dopo, nel '51, gli fu assegnato il Goncourt per il libro più noto, Le Rivage des Syrtes, ovviamente, lo rifiuterà.

In Italia, paese dove funziona una letteratura tutta trama, americanoide, a sfondo sociale, Julien Gracq, letterato aristocratico, artista dell'elusione, patriarca di mondi onirici e di incanti verbali, un vero gnostico, non è mai autenticamente passato. D'altronde, i suoi paragrafi cristallini irretiscono, la perfezione tanto rarefatta infastidisce, la scrittura tetragona offende i poveracci del soggetto-verbo-complemento. Gracq è scrittore per adepti dunque, che va donato. Io l'ho ricevuto da Francesco Biamonti, autore appartato fino allo scaltro candore. Dalla sua casa arroccata sui declivi liguri, al confine con la Francia, le luci della costa gli parevano i cavalieri dell'Apocalisse, il mare un baratro blu: lo ubriacavano certe depressioni viola, bestiali, e «la tenuta dello stile» di Gracq, appunto. In Italia l'opera di Gracq è risorta grazie a L'Orma Editore, che ora pubblica Libertà grande (pagg. 146, euro 17; traduzione di Lorenzo Flabbi): edito in origine nel 1946 ma aggiornato in diverse edizioni, fino a quella definitiva, del '69 è un libro inattuale, fitto di visioni violente, sconnesse, di frasi amazzoniche, involute, sconvolte. Esempio: «Questa bellezza angelica che nostro malgrado al di là delle pagine polverose di un libro sfogliato soltanto tra i fumi di una febbre attribuiamo a qualcuno dei protagonisti minori del Terrore: Saint-Just, Jacques Roux, Robespierre il Giovane questa bellezza che si è conservata per noi attraverso i secoli, fluttuante attorno a una ghirlanda di graziose teste tagliate come un balsamo d'Egitto, il soprannome dell'Incorruttibile il candore di questi colli da Giovanni Battista affilati dalla ghigliottina, i drappi di pizzo, i guanti bianchi e i pantaloni gialli...».

Lingua sprezzante, questa, non intimidita dal demonio del senso, posta, fin dall'esergo, sotto la maestria delle Illuminazioni di Rimbaud. Già: Julien Gracq, in fondo, è lo scudiero di Rimbaud, il suo esecutore testamentario, il fervente amanuense. Incapace di sospendere la scrittura per l'Harar, per la vita africana in balia della noia, Gracq, autentico poligrafo, prosegue, in abiti borghesi, lungo l'orda del secolo, l'opera barbarica di Rimbaud, «il poeta che intimidisce... l'uomo che mantiene sempre meravigliosamente le distanze» (così scrive nel 1954 in Le Dieu Rimbaud). La pubblicazione, quest'anno, sempre per José Corti, di Nuds de vie, granaio di testi inediti, non fa che testimoniare una continuità stilistica nell'opera di Gracq, una opalescente ossessione.

Dunque, voltando le spalle alla babele letteraria odierna, facciamoci cullare da questo esotismo verbale, incuranti dell'esito. Ecco l'incipit, per dire, del capitolo «Le notti bianche» de Libertà grande: «Come la polena di un vascello a tre ponti dirottato in questo porto di galee, sul piano piatto del Mediterraneo le cui onde bianche paiono sempre fiaccate da un eccesso di sale, si sollevava per me dietro una corretta, impeccabile fila di bicchierini da liquore il volto di questa donna violenta». Ma... cosa significa?, sbottano i granatieri dell'ordine grammaticale.

Beh, si fottano.

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