Una guerra mondiale Ma a bassa intensità

La caduta del Muro di Berlino fece sognare la nascita di un'epoca senza conflitti Però sono tornati gli scontri di civiltà

Una guerra mondiale Ma a bassa intensità

Ci sono momenti che chi aveva già l'età per capire non può scordare. Tutti erano incollati agli schermi, a guardare le immagini del telegiornale. Migliaia e migliaia di abitanti di Berlino Est si diressero, il 9 novembre del 1989, nei pressi del Muro che spaccava in due la città, i check point vennero aperti e la gente sciamò verso Ovest, verso la libertà. Quella cupa recinzione di cemento armato era il simbolo dei decenni di divisione tra il mondo occidentale e i Paesi comunisti. Dopo 28 anni dalla sua costruzione finalmente smetteva di avere un senso. Di più, iniziò a essere letteralmente sbriciolato a colpi di piccone, spranga, cacciavite. I così detti Mauerspechte (in tedesco significa «picchi del muro») iniziarono ad aprire varchi ovunque, o semplicemente a staccarne dei pezzi che divennero ambiti souvenir (con florido mercato dei falsi, che ha avuto un suo rifiorire quest'anno per il venticinquennale).

Quasi mai la storia si concentra negli attimi e nei simboli. Ma davvero con la caduta del Muro di Berlino la fine della Guerra Fredda divenne tangibile. I segni c'erano da qualche anno e li aveva, chiaramente, colti Ronald Reagan. Il quale, premendo l'acceleratore sulle spese militari statunitensi, aveva messo in crisi il già vacillante gigante sovietico. La pressione insostenibile offrì il destro a Michail Gorbacëv per introdurre profonde riforme interne, la politica della perestrojka , che passavano anche - quanto forzosamente resterà sempre tema di dibattito - dalla liberazione degli Stati satellite dell'Urss. A quel punto la caduta dei regimi comunisti divenne solo questione di tempo. Fu una svolta epocale. Qualcuno si fece addirittura prendere la mano. Si iniziò a parlare di fine della storia come fece, non a caso nel 1992, Francis Fukuyama.

Era un errore palese. Lo sgretolamento del blocco comunista rivelò quello che c'era sotto: tensioni geopolitiche, religiose, vecchie fratture etniche mai sanate. Lo dimostrò la Jugoslavia, frantumandosi e portando una guerra civile nel cuore dell'Europa. Lo dimostrò l'Afghanistan, dove gli Usa avevano appoggiato il fondamentalismo islamico contro l'Urss, non rendendosi conto della pericolosità di quella nuova forma di radicalismo (questa volta non ideologico, ma religioso). La drammaticità della situazione apparve chiaramente solo con gli attentati dell'11 settembre del 2001. E ancora oggi l'Occidente, e non solo, deve fronteggiarla.

Una guida chiara per ripercorrere questi avvenimenti e molti altri la si trova in I nuovi conflitti. Dagli anni '70 al XXI secolo , quarto volume de Il mondo contemporaneo . Il testo firmato da Fulvio Cammarano, Giulia Guazzaloca e Maria Serena Piretti ricostruisce gli eventi degli ultimi decenni dando largo spazio anche all'ascesa della Cina e delle tigri asiatiche, al genocidio del Rwanda e alla situazione dell'Africa, ai flussi migratori.

Sì, perché la storia non è affatto finita e si ripropone con direttrici inaspettate. Se negli anni Novanta dello scorso secolo i più erano pronti a pensare che il mondo sarebbe diventato monopolare e condizionato da una sola grande potenza (basta pensare a una teorizzazione come quella di Impero di Antonio Negri e Michael Hardt), ora risulta ovvio che gli equilibri sono cambiati e che il mondo è tutto tranne che monopolare. È, infatti, evidente ai più il ruolo che si stanno ritagliando nazioni come la Cina e l'India.

Anzi, ormai lo scontro di civiltà, il clash of civilisation , teorizzato da Samuel P. Hungtinton si dimostra una costante, col ritorno (speriamo effimero) anche di visioni e strutture politiche, come il califfato, date per defunte da secoli. E quali potranno essere i suoi esiti è difficile dirlo.

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