Storia d'assalto

"L'ho ucciso io". Cosa fu quel maledetto 31 luglio

Un aereo da guerra come tanti cadde sotto i colpi del nemico a un anno dalla fine del terribile conflitto che scosse l'Europa. A bordo non c'era un uomo come gli altri, ma uno scrittore ineguagliabile: Antoine de Saint-Exupéry

"Ho ucciso io il Piccolo Principe": quel maledetto 31 luglio '44

"Pilot did not return and is presumed lost". Scrive sconvolta e restia una penna come tante penne, al comando di un ufficiale come tanti ufficiali. È la triste consuetudine della guerra che si compie.

Ultimo giorni di luglio del 1944. In una base alleata della Corsica, nei pressi di Borgo, un attendente come tanti compila un registro di squadriglia in un giorno di guerra come troppi giorni. Sono le 14:00 passate, e anche il tempo concesso alle speranze è scaduto. Il Lockheed F-5 partito di buon mattino per una ricognizione fotografica sulle coste della Provenza non è rientrato. È un altro pilota che non fa ritorno: presunto morto o disperso, l'ennesimo. Si chiama Antoine de Saint-Exupéry. Tutti gli uomini che combattono prima di essere qualcosa sono qualcuno, e lui era uno scrittore. Si disgrega così la normalità della consuetudine ripetuta così tante volte.

C’era una leggenda romantica e popolare sulla scomparsa dell’autore di Vol de nuit, di Pilote de guerre, di Le Petit Prince (Il Piccolo Principe). Si credeva fosse volato via. Scomparso silenziosamente come il suo principe dai capelli d’oro. Come fosse stato protagonista di un racconto reale, ma con una pagina strappata. Quella che avrebbe narrato di un moderno Icaro in eterno volo verso il Sole, che tramonta solo per lui più di 43 volte al giorno quando si sente triste.

Purtroppo la storia ci ha svelato una di quelle verità che troppo disincantano. Antoine de Saint-Exupéry, il famoso scrittore, venne abbattuto al largo delle coste di Marsiglia. È un dato certo. Ad ammetterlo, dopo 64 lunghi anni di segreto, è stato Hors Rippert, a quel tempo pilota di caccia arruolato nella Luftwaffe, l'aeronautica tedesca. Lo disse con grande dispiacere a un gruppo di ricercatori che lo intervistarono con la scusa di essere autori di un libro sui Messerschimitt Bf-109, il caccia che lui pilotava. Quando lo capì, disse semplicemente: “Smettete di cercare la verità su Saint-Exupéry. Sono io che l’ho abbattuto”.

Esordì così Rippert all’età di 88 anni. Dei 28 abbattimenti riconosciutigli alla fine della guerra, uno più di tutti pesava sulla sua coscienza. Un peso insostenibile. Quando il sommozzatore Luc Varnell, il responsabile di un'associazione di recupero di aerei caduti, Lino von Gartzen, e il giornalista Jacques Pradel trovarono il relitto (i rottami si trovano al museo di Le Bourget) e il bracciale che lo scrittore portava sempre al polso, la verità scansò l’ultimo dubbio a cui aggrapparsi. "Quando ho saputo di chi si trattava – disse il vecchio tedesco – ho a lungo sperato che non fosse lui".

Horst a quel tempo aveva 24 anni, Antoine 44. Il mondo li affidò a nazioni avverse che li avevano allevati nel clima di profondi revanscismi. Il destino, spesso beffardo, li fece scontrare. Il giovane asso da caccia Rippert lo vide spuntare improvvisamente sotto di se, da una coltre di nubi spesse, mentre era in rotta verso Marsiglia. Era un Lightning P-38, a prima vista, con coccarde azzurre e rosse, e la croce di Lorena come emblema, quello della Francia Libera. Volava basso, troppo basso, il vecchio Antoine. Era a duemila metri, sorvolava la costa intento a fotografare le spiagge che l'intelligence aveva o avrebbe scelto per l'Operazione Anvil, poi rinominata Dragoon. Preparavano lo sbarco alleato nella costa meridionale della Francia concertato con quello più grande in Normandia.

"Ragazzo mio, sei un po' imprudente e se non te la squagli in fretta ti impallino", aveva pensato Rippert manovrando senza fretta per metterglisi in coda con altitudine e luce del Sole a suo favore. Ma quell'aereo da ricognizione continuava a bordeggiare senza dare minimamente segno di essersi accorto che un caccia avversario stava per piombargli addosso.

"Mi sono lanciato nella sua direzione e ho tirato, non verso la fusoliera ma mirando alle ali", raccontò Horst. "Colpito! Lo zinco è esploso, e lui giù, dritto nel mare. Nessuno si è gettato con il paracadute, nessuno è ricomparso tra le onde". Ma il pilota non si perdona: "L'ho saputo qualche giorno dopo che era Saint-Exupery. Ho sperato, e spero ancora che non fosse lui". Il tempo avrebbe rivelato che la sua era una speranza vana. Ecco dunque il paradosso della guerra: "Lo adoravo e gli ho sparato", si rinfacciava il pilota tedesco. Un aereo anonimo come tanti aerei, abbatte un aereo anonimo come tanti altri aerei avversari.

A dividere i due uomini, un conflitto mondiale. Ad accomunarli l'amore per il cielo, la passione per il volo, i pensieri intensi che spesso si fanno di fronte ai tramonti silenziosi - quelli che si possono ammirare solo a più di cinquemila metri -, o il rullaggio delle eliche al decollo che leva i capelli al vento. "Ho sperato e continuato a sperare, assurdamente, che non fosse lui. A scuola avevamo adorato tutti i suoi libri, sognato con le sue avventure nell’emisfero Sud. Come sapeva descrivere il cielo, le paure e le emozioni dei piloti! Era leggendolo che molti di noi avevano scoperto la passione di volare. Se avessi saputo che in quella carlinga era lui, giuro, non avrei sparato. Su tutti, ma non su di lui!".

Quando nei giorni seguenti dalle frequenze alleate - regolarmente captate e ascoltate nelle basi tedesche - si apprese che l'autore de Il Piccolo Principe era stato abbattuto durante una missione ricognitiva nel sud della Francia di Vichy, e risultava disperso, Rippert e i suoi compagni di squadriglia collegarono i due episodi e intuirono, non poco dolorosamente, che l'apparecchio abbattuto poteva essere proprio quello scomparso. Quello sul quale si trovava l'adorato scrittore.

Dapprima subentrò la vergogna. Poi le riflessioni sul senso assurdo della guerra, la debolezza che affligge un colpevole ignaro e impossibilitato a rimediare. Questo avrebbe raccontato il giovane tedesco. Quel giorno del '44 il gruppo di giovani piloti decise insieme di mantenere il segreto. Nessuno doveva sapere che uno di loro aveva ucciso il poeta del cielo dal naso che pizzicava la Luna. Insieme a lui avevano assassinato una parte di loro stessi e di tutti quei piloti avventurosi che si erano ispirati alle sue eteree parole.

Le circostanze della morte di de Saint-Exupéry rimasero un mistero che alimentò a lungo le leggende sulla sua scomparsa. La realtà sembrava aver seguito impronte indelebili del suo piccolo grande capolavoro letterario, il Piccolo Principe, pubblicato appena un anno prima. Era caduto sulle Alpi per un guasto al motore? Era morto suicida? O scomparso semplicemente tra dolci sogni e miraggi dovuti all’assenza d'ossigeno che può segnare il destino dichi vola ad alta quota,come aveva narrato lui stesso in Pilota di Guerra (pubblicato nel 1940)? Hugo Pratt, il celebre fumettista, disse di lui: "In fondo cosa voleva? Voleva sparire? Il fatto è che è sparito veramente in una forma per così dire letteraria, romantica. Meglio così, che un uomo che decide di sparire o è sparito, non sia più ritrovato; diventa un fatto leggendario e diventa un mito per le generazioni future".

E così è stato. Una morte coerente per un poeta aviatore le cui spoglie mortali non vennero mai ritrovate. Proprio come accade ai personaggi di certe favole: che volano via. Come il personaggio della sua favola, che riconosceva i mali del mondo; e tentava di sopire il dolore che prova colui che ti ama e non potrà più rivederti domani, o dopodomani, o un altro giorno. Più distante nella storia. "Questa notte.. sai non venire. Sembrerà che io mi senta male… Sembrerà un po’ che io muoia. È così. Non venire a vedere. Non ne vale la pena..", disse il Piccolo Principe. Non è stato un serpente a portare via Antoine, ma è delicato pensarlo. "Non mi sembri così potente, non hai nemmeno le zampe", disse il Piccolo Principe. "Posso portarti più lontano di un bastimento" rispose il serpente. Così è stato.

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