"Chat prese senza filtri e distillate dalle toghe. È marketing giudiziario e non prevede difesa"

L'azzurro vicepresidente di commissione Enrico Costa: "Anche a Milano pare ci sia già la sentenza"

"Chat prese senza filtri e distillate dalle toghe. È marketing giudiziario e non prevede difesa"
00:00 00:00

Il garantista Enrico Costa, vicepresidente azzurro nella commissione Giustizia della Camera, insorge anche in difesa degli avversari politici, stavolta per le ultime chat del caso Milano che mettono sempre di più nei guai il sindaco Sala e la sua giunta.

Lei denuncia che le conversazioni contenute nei cellulari sequestrati finiscano sui giornali senza autorizzazione del gip, come per intercettazioni e tabulati telefonici...

"Sì, lo impone la Corte di giustizia europea. Le frasi tra virgolette divulgate vengono selezionate dai pm, per sostenere le tesi dell'accusa. Solo in un secondo momento, quando la difesa avrà accesso agli atti, sapremo se ci sono altre conversazioni, che danno un quadro diverso".

Per lei le chat vengono date in pasto all'opinione pubblica per oscurare il fatto che i pm subiscono lo smacco di due scarcerazioni?

"Quello che sta succedendo nel caso Milano è la rappresentazione plastica del processo mediatico, che non finisce con una sentenza, non prevede tre gradi di giudizio, ma si conclude sempre con una condanna, perché si costruisce sulle tesi dei pm e non contempla una difesa, né l'attesa del responso di Tribunale, Appello, Cassazione. No, il processo mediatico si nutre di gossip, di intercettazioni, di chat, di titoli sui giornali o di trasmissioni tv e chi ci finisce dentro ne viene stritolato. Io lo chiamo marketing giudiziario".

Che intende?

"Se una tecnica commerciale viene applicata alla giustizia è grave: vuol dire distillare nelle chat ciò che serve per coprire le tesi dell'accusa, con una scelta solo dei pm che così montano un'opinione pubblica favorevole".

Questo succede nella fase delle indagini, ma poi si va in giudizio

"Quando si viene prosciolti, scarcerati, assolti non interessa più a nessuno, perché il processo mediatico è già concluso e lascia marchiati, se ne esce diversi. Eppure, tutto ciò che attiene alla credibilità alla reputazione di una persona andrebbe ristabilito. Purtroppo assistiamo quasi sempre ad un gip totalmente sottomesso alla procura, che come l'opossum si finge morto. E un po' tutti gli organi di stampa accendono i riflettori sull'inchiesta e poi li spengono sul processo".

Sono le regole del processo mediatico?

"Purtroppo sì. Solo dopo le indagini il giudice riacquista forza, ecco perché abbiamo il 50% di assoluzioni".

Che cosa chiede?

"Per sequestrare il cellulare, con la vita di una persona, tutte le sue mail, chat, foto, messaggi, serve l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria. Stiamo facendo una legge, passata già al Senato, perché questo avvenga solo a certe condizioni".

Quello che afferma la Corte di Lussemburgo

"Sì, peccato che se fa comodo quello che decide la Corte di giustizia, come per i migranti, tutto si ferma, altrimenti viene ignorato. In una circolare la procura di Roma sostiene che basta la volontà del pm e non serve l'autorizzazione del giudice. Siamo in ritardo noi, come legislatori".

È sua anche una proposta per l'obbligo di pubblicare, con la stessa ampiezza, evidenza, e immediatamente, assoluzioni o proscioglimenti di imputato o indagati.

"È sotto gli occhi di tutti la sproporzione tra lo spazio e il rilievo dati all'inchiesta rispetto alla fine dell'iter processuale".

Non c'è il rischio di limitare la libertà di stampa?

"Io sono sempre per il riserbo delle indagini, non per colpire il diritto di cronaca ma per far prevalere la presunzione d'innocenza".

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica