I "piemontesi" e la Roma post-unitaria

In un libro di Sergio Valentini come è cambiata la Città eterna dopo l’arrivo di "buzzurri" e "cafoni" all’indomani del 1870 e i mutamenti urbanistici fino all’inizio del nuovo secolo

L’altra integrazione. Quella che nessuno considera o meglio, sulla quale nessuno riflette, forse perché considerata talmente naturale da appartenere ai cromosomi dell’italianità. L’integrazione in questione stavolta riguarda italiani e italiani, cioè i cosiddetti non romani nell’Urbe dopo il 1870. A porre un contributo che colmi la lacuna ci ha pensato ora Sergio Valentini, giornalista e autore televisivo che ha portato in libreria il volumetto “I piemontesi a Roma” (La lepre editore, pp. 272, euro 16) dove, tra aneddoti, storie vere e immagini, si compone un mosaico ingiustamente trascurato.

Il titolo fa riferimento ai piemontesi inquadrando in loro un po’ la varia umanità del Nord Italia dopo l’Unità. I romani che nella loro città abitavano e vivevano li chiamavano “buzzurri” un termine oggi dispregiativo, ma in realtà riferito alla non romanità degli abitanti del Lombardo-Veneto, in contrapposizione ai “cafoni” del Meridione. Da qui prende le mosse il racconto storico attraverso il quale Valentini ci guida, servendosi anche di un apparato di accattivanti immagini. Non si tratta solo di fotografie d’epoca ma anche di suggestivi disegni che conferiscono al libro un valore di pregio e alleggeriscono una lettura resa già gradevole dal tono leggero con cui l’autore articola il racconto. A partire dalla richiesta di stanze per il soggiorno dei nuovi arrivati. Una richiesta che rimase insoddisfatta perché su oltre 40mila stanze ne furono concesse dal Municipio soltanto 500.

A rimanere senza un tetto furono soprattutto le donne, destinate ad affollare conventi o strutture religiose nelle quali molte di esse poi finirono per rimanere. L’arrivo a Roma di questa popolazione nuova diede tra l’altro impulso a profondi rinnovamenti e mutamenti urbanistici, che caratterizzarono la capitale all’approssimarsi del 1900, anno in cui si arresta la ricerca di Valentini. “I piemontesi a Roma” è un libro atipico perché di fatto assomiglia a una rappresentativa foto di gruppo, in cui la nobiltà sabauda convive accanto a politici, travet, dame e cavalieri.

Da piazza Colonna alle spiagge del Tevere, dalla corte sabauda alle osterie rionali, quella di Valentini non è una Roma agiografica, ma sempre una collettività umana raccontata con sentimento e amore al di fuori di ogni retorica. Come dimostrano anche i divertenti aneddoti distribuiti nelle pagine.

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