l’anticipazione

l’anticipazione

diSaint-Tropez, sabato 17 ottobre, ore 02.15
A quell’ora Route des Plages era deserta. I ristoranti sulla spiaggia avevano chiuso i battenti e, data la stagione, a nessuno veniva più in mente di passare la notte a ballare sulla sabbia. Anche le ville sulla collina e verso il lungomare sembravano vuote. Per fortuna, col cielo sereno e la luna piena avrebbe potuto fare a meno della torcia elettrica.
Hans Spidhofer parcheggiò la macchina prima della curva, vicino al viale d’ingresso di una casa apparentemente vuota, a un centinaio di metri dal punto indicato da Tania per l’appuntamento: l’incrocio con boulevard Patch. Quell’incontro però non lo convinceva. Lavorava con il colonnello Giulio Valente da qualche anno; Valente gli aveva insegnato il mestiere e Hans era sicuro di godere della sua fiducia. Non lo aveva mai mandato allo sbaraglio senza istruzioni: al contrario, Valente voleva che i suoi agenti avessero in mano tutti gli elementi per operare al meglio. Eppure, stavolta l’incarico era immerso nell’incertezza, e il fatto più sconcertante, per Spidhofer, era che nemmeno Valente sapeva bene perché lo avesse mandato lì. Almeno fino a quel momento, la missione a Saint-Tropez non era certo stata la più pericolosa della sua carriera.
Probabilmente la più frustrante.
Aveva sorvegliato Arkadij Orlov per quasi due mesi senza ricavare nulla di concreto. Solo lo strano omicidio dell’algerino aveva suscitato la sua attenzione, anche se il collegamento non era ancora del tutto chiaro. Forse si trattava soltanto di un episodio collaterale.
Una cosa, però, era risultata ben presto evidente a Spidhofer: non era il solo a interessarsi al «piccolo oligarca». Poi, senza preavviso, Tania gli aveva detto che Orlov voleva incontrarlo e che avrebbe potuto spiegargli molte cose. Aveva fissato l’incontro per quella notte.
Per prima cosa vide con chiarezza la macchina di Orlov, sotto un grande pino: persino a Saint-Tropez una Lamborghini Murcielago rosa con la targa di Mosca si faceva notare. Nelle sue inutili peregrinazioni delle settimane precedenti, Hans l’aveva spesso vista nel parcheggio fuori dal porto e gli era capitato di sperare che Valente gli ordinasse di rubarla e tornare a casa.
Successe tutto molto rapidamente.
Quattro colpi d’arma da fuoco, un’ombra in fuga, uno scooter che si allontanava.
Hans si gettò fuori dall’auto e mentre correva verso la Lamborghini infilò i guanti ed estrasse la pistola.
Orlov giaceva riverso sul volante. Due fori di proiettile: uno nella schiena e uno in testa, probabilmente quello mortale. Verosimilmente, un’arma di medio calibro. Gli altri due proiettili lo avevano mancato. Strano per un professionista da quella distanza.
Oltre tutto, senza silenziatore.
Arkadij Orlov, l’uomo su cui stava indagando senza saperne la ragione, era morto troppo presto. Hans si affrettò a perquisirlo: sapeva di avere pochissimo tempo. Il russo indossava un giubbotto di pelle leggera con due tasche esterne. Una conteneva un portafoglio con circa diecimila euro in banconote di grosso taglio - una bella somma persino per un «piccolo oligarca» -, un passaporto russo a suo nome, una patente, sempre russa, alcuni biglietti da visita dei night club che Orlov era solito frequentare e nient’altro. Hans lo rimise al suo posto. Nell’altra tasca c’era un palmare. Lo prese. Nel cassetto accanto al volante, una pistola di grosso calibro, due bustine di polvere bianca e un cd con i cori dell’Armata Rossa: Arkadij viveva come un occidentale decadente, ma era un nostalgico. Lasciò tutto dove si trovava. Inutile far analizzare la polvere; ci avrebbe pensato la polizia.
Nel frattempo le luci di una villa che si trovava a un centinaio di metri, per fortuna in direzione opposta a quella in cui aveva lasciato la sua macchina, si erano accese. Stavano sicuramente per chiamare la polizia; forse lo avevano già fatto.
Raggiunse la sua piccola Ford per tornare a Saint-Tropez.
Doveva al più presto avvertire il colonnello Valente. Ma soprattutto doveva parlare con Tania.
Mentre si allontanava, incrociò due macchine che arrivavano a sirene spiegate; sperò che agli agenti non venisse in mente di prendere nota della sua targa.


Il giorno dopo, in ogni caso, avrebbe cercato di scoprire cosa pensava la polizia dell’accaduto. Hans strinse la mano attorno all’unico risultato concreto di quella notte: il palmare di Orlov. Forse conteneva le informazioni che il russo non aveva avuto il tempo di rivelargli.

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