Storia d'assalto

Ladri di aerei nel Pacifico

Un incidente presso le isole Aleutine condusse a un'importante vittoria sul fronte del Pacifico. Da lì nacque un'unità di "ladri" di aerei che cercava i segreti dei caccia giapponesi

Ladri d'aerei nel Pacifico

Se si tralascia il vantaggio concesso da una posizione favorevole al momento dell’ingaggio, in ogni duello aereo che si rispetti, l’abilità del pilota e le capacità tecniche del velivolo sono sempre i fattori fondamentali per decretare una probabile vittoria o una sicura sconfitta. Nel progredire della storia dell’aeronautica e della strategia militare, tuttavia, un altro fattore si è fatto spazio in campo tattico come “risolutivo”: la conoscenza, attraverso operazioni di spionaggio ben pianificate o fortuita casualità, delle caratteristiche dei velivoli avversari.

È questo il caso del famigerato “Zero di Akutan”: lo sfortunato caccia giapponese che svelò agli americani tutti segreti del più temibile aereo da combattimento impiegato nel Pacifico durante il secondo conflitto mondiale.

Il caso di Akutan

L'Akutan Zero, anche noto come Zero delle Aleutine, o Zero di Koga - dal nome del pilota dell’Aviazione navale dell’Impero giapponese a cui era stato affidato - è il protagonista di uno dei fortuiti casi che contribuirono in maniera decisiva nella vittoria degli Alleati. Si trattò infatti di un aereo da caccia imbarcato nipponico del modello Mitsubishi A6M “Zero” Type 21, che si schiantò sull'isola di Akutan, nella regione dell’Alaska, dopo aver condotto una missione di mitragliamento a bassa quota sulle isole Aleutine. La missione su Dutch Harbor avvenne in due riprese nella prima settimana del giugno del 1942. Mentre nel Pacifico, si sparavano i primi colpi di quello che sarebbe stato uno degli scontri decisivi per le sorti della guerra: la battaglia aeronavale delle isole Midway.

Assegnato a questa missione marginale era il sottufficiale pilota Tadayoshi Koga, di appena 19 anni. Decollato dalla portaerei Ryujo nel pomeriggio del 4 giugno, Koga volava in formazione con altri due Zero e, piombando sul porto già bersagliato nella giornata precedente, fu accolto dal fuoco di terra che gli americani potevano opporre con poche mitragliatrici antiaeree e armi leggere. Dopo aver abbattuto un idrovolante Catalina della US Navy, i tre aerei giapponesi si allontanarono in gran fretta. Lo Zero di Koga però trascinava dietro di se una lunga scia di fumo nero. E realizzato che i danni subiti erano troppo elevati per tornare alla portaerei, decise di volare livellato fino all’isola di Akutan, dove avrebbe tentato un atterraggio di fortuna. Lì avrebbe atteso l’arrivo di un sottomarino amico che lo avrebbe tratto in salvo dopo aver distrutto ciò che rimaneva del suo aereo. Era ordine tassativo, infatti, che ogni pilota atterrato in zone controllate dal nemico distruggesse il proprio aereo affinché non cadesse in mano avversaria.

Un’errata valutazione della zona d’atterraggio portò il giovane Koga nel bel mezzo di una palude che lui i suoi gregari avevano confuso per un accogliente manto erboso. Errore fatale che provocò la rottura del collo e la morte immediata del pilota, che in questo modo non poté distruggere lo Zero che, invece, non aveva riportato grandi danni nell'impatto con l'acquitrino. Credendo che il loro compagno fosse sopravvissuto e fosse solo in procinto di abbandonare l'aereo, i gregari non se la sentirono di mitragliare l’aereo a terra e fecero rotta per la loro strada, Lasciando agli americani, che lo avrebbero scoperto presto, un tesoro appena celato in una piccola palude delle Aleutine.

L’aero di Koga, numero di matricola 4395, venne avvistato appena un mese dopo da un ricognitore. Subito venne ordinata una missione di recupero che portò l’aereo sul continente, dove esperti meccanici e piloti collaudatori lo avrebbero riparato per carpirne ogni segreto. Già in agosto, lo Zero di Akutan venne definito dagli americani come: "un premio quasi inestimabile.. probabilmente uno dei più grandi premi della Guerra del Pacifico”.

I segreti dietro le ali del nemico

Gli esperti della Us Navy, che avevano dovuto fare i conti con il disastro di Pearl Harbour e la dura sconfitta nel Mar dei Coralli, avevano ora tra le mani un esemplare di quello che poteva tranquillamente essere considerato come il “principale aereo da combattimento della Marina imperiale giapponese durante la guerra”. Un aereo che aveva superato in combattimento i P-40 Kittyhawk e gli F4 Wildcat, oltre ad aver fatto strage di ogni tipo di aerosilurante e bombardiere leggero imbarcato. Carpirne i segreti avrebbe aiutato statunitensi e britannici a calibrare le loro tattiche e migliorare i propri aeroplani per competergli più facilmente e sbilanciare, almeno nell’aria, le sorti del conflitto sul fronte del Pacifico.

Gli alti papaveri dello Stato maggiore si avvalsero del Langley Research Center (attualmente parte della Nasa) e, partendo dall’input del duello "Wildcat vs Zero", svilupparono caccia come lo F6F Hellcat e l'F4 Vought Corsair: aerei che, in mano ai piloti Alleati, vinsero la guerra nei cieli controllati dall'Impero del Sol Levante.

Ladri di aerei

Considerato il successo dell’operazione che portò alla scoperta dei segreti dello Zero delle Aleutine, vennero formate in tutte le forze alleate coinvolte nel del Pacifico delle Technical Air Intelligence Units (abbreviate con l’acronimo Taiu). Queste unità di intelligence avrebbero recuperato con qualsiasi stratagemma ogni genere di aereo giapponese per ottenere dati sulle loro capacità tecniche e tattiche. Unità di questo tipo, letteralmente cacciatori e ladri di aerei caduti e abbandonati o sperduti nella costellazione di isole e atolli che coprono l’immensa regione del Pacifico, comparvero tra le file della Us Navy, della Us Air Force, nelle Reale Aeronautica Australiana, e una addirittura inquadrata tra i nazionalisti cinesi fedeli al generale Chiang Kai-shek.

Ogni possibile preda avvistata da ricognitori o squadre di terra veniva localizzata, identificata nel modello e valutata nello stato di conservazione prima di essere recuperata e messa in cantiere per essere riparata e testata. Così facendo, passo dopo passo, i servizi segreti alleati riuscirono ad analizzare la produzione bellica giapponese in campo aeronautico. Vennero catturati, oltre al famigerato Zero, alcuni esemplari di Nakajima Ki-43 Hayabusa "Oscar", il principale caccia utilizzato dall'Aeronautica giapponese durante la guerra, modelli di Kawasaki Ki-45 "Nick", aereo pressoché sconosciuto dagli alleati. Furono rivenuti modelli di Kawasaki Ki-61 “Tony”, un bombardiere in picchiata Yokosuka D4Y “Judy” e l'aereo da ricognizione Mitsubishi Ki-46 “Dinah". L'elenco potrebbe proseguire ancora. Insieme ad essi, spesso vennero catturate solo componenti di motori e armamenti che consentivano di analizzare le innovazioni di cui sarebbero stati dotati gli aerei nipponici. Tasselli di un puzzle che aveva una sola fine possibile per gli americani: la resa di Tokyo.

Così, mentre i piloti con le loro divise kaki dalle calze corte, decollavano sui loro caccia blu e celesti dalle porterei che incrociavano nel mezzo dell’oceano o da basi remote in isole mai sentite - ma che sarebbero divenute note alla storia come Guadalcanal o Iwo Jima - i ladri di aerei delle intelligence si addentravano nelle giungle impenetrabili e negli hangar abbandonati per rubare i segreti dei kamikaze.

Per farli analizzare agli antenati di quelli che sarebbero diventati “i genietti della Nasa”, e poi poter dire a chi duellava tra le nuvole dalla parte degli alleati: “Ecco come devi abbatterlo”, “Ecco come vinceremo”.

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