Ecco due lettere inviate dalla scrittrice e poetessa Ada Negri al sacerdote don Carmelo Martini.
29 - 7 - 1930. Villa Massimo-La Santa (Monza)
Reverendo
Le chiedo scusa di aver tanto tardato a risponderLe. Ma la Sua lettera è di quelle sulle quali ci si raccoglie a meditare senza avere il coraggio di rispondere. E stato a Lodi? È entrato nella chiesa di San Francesco? Cè una panca, a sinistra, dove, fanciulla, io passavo ore ed ore. Cè una colonna, (la seconda a destra, mi sembra) dove una meravigliosa Madonna è frescata. Porta un manto dermellino, come una imperatrice; e vi nasconde il Bambino. Era la mia Madonna. Ora vivo in questa villa di cari amici; non li vedo che nelle ore dei pasti, e il resto del tempo lo passo in solitudine. Ma non è ancora la solitudine che cerco. Forse non la troverò mai. In ottobre o novembre uscirà il mio nuovo libro di versi «Vespertina». Tutti endecasillabi sciolti. Lei sarà contento. Però, se sapesse che dolore è il mio, gettare ancora un libro nelle mani dei critici, vedere il mio povero nome trascinato ancora su e giù per i giornali. Vero è che lo trascinano lo stesso. Preghi per me, nobile amico. Nata uomo, avrei voluto essere parroco di campagna o medico condotto. Le invidio la Sua missione; e la religiosa oscurità in cui vive. Sua sorella in Cristo
Milano, 22 giugno 1932
Reverendo Amico
vorrei rispondere a lungo alle Sue generose lettere; ma purtroppo debbo rinunciare. Quasi ho disimparato a scrivere lettere, tale è il numero che ne debbo scrivere di «professionali»: riducendo ognuna allessenzialità più schematica. Lei crede la mia giornata colma solo di lavoro: oh, così fosse! Il lavoro non mi stanca; e dodici ore a tavolino sono una gioia per me, lasciandomi leggera e come sollevata da terra. Ma si metta in mente il telefono che comincia a squillare dalla mattina: amici, scrittori, giornalisti che chiedon di venire o domandano informazioni o fissano appuntamenti: le bugie (ahimè!) al telefono \: mia figlia che adoro e vuol vedermi, i due nipotini Donata e Guido, il Prefetto e la Prefetessa che minvitano a colazione, qualche amica che vuole a pranzo... e in mezzo a tutto questo lassillo del lavoro. Sintende che spesso metto il cartone al telefono e mi barrico in studio. Ma la vita in questo modo non è armonica, e viene in uggia e non costituisce che sforzo. Oggi farò la nonna, anzi la nenne, come Donata e Guido mi chiamano: saranno qui tutto il pomeriggio e anche a cena.
Queste sono le mie giornate. Vorrei fossero tutte di clausura e lavoro. \
Sua devota
Adanegri
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