Così Franzen cercò di salvare Foster Wallace

Il libro di D.T. Max svela l'epistolario tra i due grandi scrittori

David Foster Wallace
David Foster Wallace

Tutto era troppo a fuoco, troppo netto. Tutto era troppo pensato o pensabile perché fosse davvero possibile essere felici o almeno cercare di esserlo (forse a esclusione del tennis guardato in tv, quando a giocare era Roger Federer). Non è un caso, infatti, che la sua letteratura/vita si sia incanalata alla perfezione in quel genere, molto americano, che il critico James Wood ha etichettato come «realismo isterico». È questo che si potrebbe dire pensando all'esistenza, sulla carta e fuori, di David Foster Wallace (1962-2008). Lo scrittore che secondo molti è stata la penna e la mente migliore della sua generazione, ha infatti usato la propria lucidità e capacità di ritrarre il mondo nei dettagli sino a perdersi, a scegliere di penzolare senza vita da una trave del patio di casa.
Questo percorso, doloroso e pieno di alcol e droga, è raccontato molto bene nella nuova biografia dedicata allo scrittore da D.T. Max e che è stata pubblicata negli Usa, Every Love Story is a Gost Story, e di cui la rivista on-line The Daily Beast (recentemente fusasi con Newsweek) ha anticipato un brano. È tratto dal capitolo in cui l'autore, giornalista del New Yorker, ricostruisce il periodo in cui Wallace si trovava di fronte al baratro di Infinite Jest, il romanzo capolavoro che aveva una grande paura di scrivere. Ad aiutare Wallace fu la sua amicizia venata di ammirazione/invidia con l'allora più affermato Jonathan Franzen. Foster Wallace si sentiva stremato e, come spiega Max, «voleva a tutti i costi essere di nuovo un romanziere ma si sentiva troppo fragile per affrontare uno sforzo del genere». Lui e Franzen stavano portando avanti già da tempo un'amicizia epistolare e avrebbero dovuto incontrarsi a Boston. Foster Wallace annullò l'incontro e poi spiegò per lettera a Franzen: «Ora come ora sono un giovane uomo patetico e davvero confuso, uno scrittore fallito a 28 anni, che è così geloso... di te... e di ogni giovane uomo che sta proprio ora producendo delle pagine con le quali può vivere... ecco perché considero il suicidio una ragionevole - se non desiderabile - opzione rispetto a questo schifoso problema».
Un'ammissione dolorosa, sulla quale però Wallace non voleva entrare nei dettagli: «Ho grande disprezzo per tutti quelli che si lagnano e starnazzano a proposito di quanto sia difficile scrivere o di quanto sia costante la minaccia del “blocco” dello scrittore... Quando io ho scoperto la scrittura ho scoperto qualcosa che mi dava una combinazione di realizzazione e di piacere quasi genitale». Franzen rispose subito a quella lettera, cercando di essere il più possibile di supporto. Lo rassicurò dicendo che anche lui aveva provato poca gioia, scrivendo, nelle ultime settimane. Non sosteneva di provare lo stesso sconforto, certo, ma di capire lo sconforto di Foster Wallace. Poi arrivano anche le lodi per i racconti de La ragazza con i capelli strani. Servì? All'apparenza. Foster Wallace continuò a scrivere e arrivo Infinite Jest. Ma il male di vivere non andò via. Dopo il successo cambiò solo forma.

E questo lui forse già lo intuiva: «La persona in cui l'invisibile agonia della Cosa raggiunge un livello insopportabile si ucciderà proprio come una persona intrappolata si butterà da un palazzo in fiamme». E in fondo quale sia la Cosa non conta.

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