Javier Cercas, 51 anni originario dell'Estremadura, ti sorprende da subito con una simpatia travolgente. In patria è uno degli autori più letti e più discussi. I suoi romanzi piacciono (e molto). Però i suoi esperimenti, che pescano a piene mani dai momenti salienti del recente passato, hanno fatto storcere la bocca a più di un politico spagnolo («dica pure a tutti!» suggerisce sorridendo). I lettori italiani lo conoscono grazie alle traduzioni proposte da Guanda. I soldati di Salamina, La velocità della luce, La donna del ritratto e Anatomia di un istante offrono proposte affatto eterogenee sull'idea di romanzo.
Quali sono gli «ingredienti» nuovi che attraggono i lettori?
«Ignoro i gusti dei lettori. Al massimo posso conoscere i miei, e proprio a questi rispondo col mio lavoro. Il romanzo è prima di tutto libertà di espressione. E poi è il luogo dove trionfa l'ironia. Queste le sue caratteristiche principali. Medicine di cui oggi c'è bisogno».
Addirittura proprietà salvifiche?
«Mi viene in mente l'incidente occorso all'attore Hugh Grant che, arrestato negli Usa per atti osceni, così risponde al cronista che gli chiede se sarebbe andato in analisi. Noi in Inghilterra leggiamo romanzi. Sì, è una medicina. La modernità è la lotta dell'ironia romanzesca contro la serietà del fanatismo».
E cos'è il fanatismo, allora?
«Può essere tante cose. Quella più pericolosa è l'idea che la verità sia tangibile e che qualcuno la conquisti in esclusiva».
E come si può combattere?
«Con l'ironia appunto. E con Cervantes».
Ero sicuro che si sarebbe arrivati al Don Chisciotte.
«Non se ne può fare a meno. Gli inglesi si sono impadroniti della primogenitura del romanzo. Eppure è nostro. Cervantes è stato il primo romanziere moderno. Ed è ancora l'antidoto migliore contro il fanatismo».
In che modo?
«Prenda il protagonista. Don Chisciotte può essere visto in tanti modi: un pazzo, un eroe, un eroe tragicomico, un comico... Quindi riassume in sé l'essenza stessa dell'ironia che ci dice che due verità contrapposte possono convivere».
E fin qui l'immagine del romanziere è chiara. Però lei mescola anche aspetti del cosiddetto postmoderno. Per non parlare dei suoi sconfinamenti nella Storia e nell'inchiesta giornalistica.
«Mi sento piuttosto premoderno. Ho bisogno soprattutto di libertà. La stessa di cui hanno goduto Diderot e Sterne. Il romanzo è un animale onnivoro. Usa la poesia (Flaubert), usa la Storia (Balzac), ma sa usare pure il saggio (Musil) e il giornalismo (il classico Capote). L'importante è che il romanzo parta da una domanda».
E si dia una risposta.
«Al contrario. Il romanzo parte da una domanda senza arrivare a una risposta».
Come nel suo Anatomia di un istante?
«L'esempio calza. Mi sono fatto una domanda osservando quel fotogramma in cui si vedono Adolfo Suarez, Santiago Carrillo e Gutierrez Mellado rimanere impassibili di fronte alle raffiche di mitra della Guardia Civile dentro il parlamento il 23 febbraio dell'81. Mi sono chiesto il perché del loro comportamento. Il mio lavoro è tutto su quella domanda. Ma una risposta definitiva non c'è».
Carrillo è l'unico dei protagonisti di allora ad aver letto il libro. Come lo ha preso?
«Intervistato alla radio ha detto Libro straordinario, ma la verità è un'altra».
Nei suoi libri smonta le figure eroiche che la Storia ci ha tramandato, compresa quella di Carrillo. Però sostiene che l'eroe moderno è quello che sa dire di no.
«Un po' come papa Ratzinger. Grande figura romanzesca. La sua scelta è puro coraggio. D'altronde è difficile essere coraggiosi. Nessuno può capire come si comporterebbe se sottoposto a prove come la dittatura. L'unica risposta possibile è quella offerta da De Sica con il generale Della Rovere».
In che mondo vorrebbe vivere?
«In un mondo noioso».
Bella contraddizione per un romanziere!
«Ai giovani che si lamentano della vita incolore dico: andate pure in Africa o a combattere. Di guerre ne è pieno il mondo. Ma l'unica ambizione logica è vivere in un mondo noioso. Dove non si è costretti a fare scelte estreme. Per l'emozione e l'adrenalina ci sono sempre i romanzi e i film di avventura».
Il nuovo romanzo Le leggi della frontiera uscirà da noi il 24 aprile. Di che parla?
«È un salto negli anni Settanta. Parlo dei kinky boys, i ragazzi sbandati riuniti in bande. Uno di loro, vent'anni dopo farà i conti con quel passato».
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