L'orgoglio italiano nel «Nabucco» di Riccardo Muti

L'orgoglio italiano  nel «Nabucco» di Riccardo Muti

da Salisburgo

Fuori dal camerino di Riccardo Muti, giovedì sera al festival di Salisburgo, c'era la calca. Amici, artisti, giornalisti. Tutti a testimoniare che quello che il maestro e l'Opera di Roma avevano appena colto, al festival musicale più prestigioso del mondo, non era solo un trionfo. Ma l'espressione dell'orgoglio d'essere italiani. Le premesse c'erano tutte: un'opera «italiana» quant'altre mai, il Nabucco; un'esecuzione in forma di concerto che esaltasse il valore di coro e orchestra; l'attesa d'una platea di melomani preparati e inflessibili. Perfino la suspence d'una sostituzione all'ultimo minuto: il soprano Tatiana Serjan messa ko da un raffreddore e la collega Anna Pirozzi catapultata in scena, con solo tre ore di prove («e un'altra al telefono con me per ripassare la parte», racconta Muti). Infine quel valore aggiunto; quell'«unità d'intenti - riflette il maestro - che tutti insieme abbiamo saputo esprimere, pur d'essere la voce dell'Italia».
Era infatti la prima volta che il teatro capitolino si presentava a Salisburgo: «Nemmeno la Scala c'era mai stata, per l'esecuzione di un'opera. E questo pubblico abituato a tutto, che non regala niente a nessuno, ci ha accolti con dieci minuti di battimani ritmati». Che avrebbero potuto proseguire oltre, sorride Muti: «Perché io non sono di quelli che la tirano per le lunghe, presentando uno a uno tutti i solisti soltanto per allungare l'applausometro». A godersi le ovazioni, oltre la Pirozzi («ne sono felice, perché è italiana. E napoletana») un autorevole Zeljko Lucic come Nabucco, l'impeccabile Sonia Ganassi (Fenena), un ottimo Dmitry Belosselskiy quale Zaccaria. E il coro, naturalmente. «Un altro risultato è stata la dimostrazione che il primo Verdi non è quello dello zum-pa-pa, come pensano i tedeschi; ma il giovane che si evolverà fino a Otello e Falstaff. I quali niente devono alla presunta influenza di Wagner. Quest'anno poi, col bicentenario di entrambi, potevamo approfondire la musicologia verdiana. E invece ci siamo persi in chiacchiere superficiali sullo strapaesano confronto fra i due».
Ma ora quello che conta è il successo salisburghese: «Credo che l'Opera di Roma abbia dimostrato d'essere una delle grandi forze musicali europee. E questo per una città spesso guardata con sufficienza o diffidenza, è importante».

Unico neo? Nessun messaggio di auguri, neppure un sms, da nessuna autorità. «Non per me, intendiamoci. Ma per dire: vi siamo vicini. E perché l'opinione pubblica sappia cosa c'è di buono, in un Paese di cui si parla troppo spesso male».

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