Michael Pollan è un genere particolare di scrittore. Nei suoi libri non si trovano ricette per la Boeuf Bourguignon o il perfetto soufflé. Si preoccupa del vasto background delle odierne abitudini alimentari, e dell'enorme business da molti miliardi di dollari che è diventata l'agricoltura - agribusiness, come oggi viene chiamato. Allo stesso tempo, non perde mai di vista il fatto che mangiare è uno dei piaceri più semplici e più profondi a disposizione degli esseri umani. Nel suo libro In difesa del cibo (Adelphi, ndr) scrive: «Il cibo riguarda il piacere, riguarda la comunità, riguarda la famiglia e la spiritualità, riguarda le nostre relazioni con il mondo naturale, e riguarda l'espressione della nostra identità. Finché gli esseri umani hanno consumato i loro pasti assieme, il mangiare ha riguardato la cultura tanto quanto ha riguardato la biologia».
Afferma, «Parlo soprattutto dell'autorità della tradizione e del buon senso». Tuttavia quanto sopravvive di quell'autorità tradizionale, e, quando si arriva alla dieta, si può dire che il buon senso sia comune? Il Professor Pollan è acutamente consapevole della spaccatura che nel nostro tempo si è aperta fra i cicli naturali del mondo animale e vegetale e la cultura dell'avidità e dell'eccesso a cui abbiamo permesso di dominare la nostra vita, almeno nel mondo industrializzato. Si preoccupa in particolare della misura in cui noi, in quello che viene comunemente chiamato l'Occidente, abbiamo permesso a noi stessi di diventare «ortoressici», cioè, «persone con una malsana ossessione per il mangiare salutare». Fa notare che, questa ossessione, provocataci da un lato dalle forze di mercato e dall'altro dai nutrizionisti, di fatto ha avuto come risultato un aumento dei fattori che contribuiscono a una cattiva salute, in particolare l'obesità. Rileva che, le Nazioni Unite hanno recentemente annunciato che «il numero di persone nel mondo che soffrono di sovralimentazione per la prima volta ha superato il numero di quelle che soffrono di denutrizione». Questa è una statistica spaventosa.
La mia premessa, scrive il Professor Pollan, «è che come qualsiasi altra creatura sulla terra, gli esseri umani facciano parte della catena alimentare, e il nostro posto in quella catena alimentare, o rete, determini in misura considerevole che genere di creature siamo». Tuttavia, gli anelli di quella catena e i fili della rete stanno diventando sempre più deboli. Nel suo libro Il dilemma dell'Onnivoro (Adelphi, ndr) - il dilemma è che, poiché mangiamo di tutto, come facciamo a sapere che cosa ci faccia bene e che cosa no? - attacca ripetutamente la stupidità ostinata e la blanda incompetenza di quelli che vorrebbero imporci questo o quel folle programma per la salute, la magrezza e la bellezza.
Scrive: «La mancanza di una solida cultura del cibo ci rende particolarmente vulnerabili alle lusinghe dello scienziato alimentare e del mercante, per i quali il dilemma dell'onnivoro non è tanto un dilemma quanto un'opportunità. È soprattutto nell'interesse dell'industria alimentare esacerbare le nostre ansie su quello che mangiamo, per lenirle poi al meglio con nuovi prodotti».John Banville, autore de Il buon informatore (Guanda)
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