Ho solo due attenuanti per la mia insensata decisione d’occuparmi d’un libro (Non puoi dire sul serio, Piemme, pagg. 376, euro 18) dedicato a John McEnroe, e da lui stesso scritto insieme al giornalista James Kaplan. Le pagine del volume ripercorrono la vita e la carriera di uno dei più straordinari campioni che il tennis abbia mai avuto. Ma io che c’entro? C’entro, se vogliamo essere indulgenti, perché McEnroe l’ho visto giocare e perché nel 1976 seguii la trasferta vincente in Cile, per la Coppa Davis, della squadra italiana. Ebbi quell’incarico non per una inesistente competenza sportiva, ma perché la contesa cilena aveva un sottofondo politico. La sinistra non voleva che l’Italia accettasse un incontro ritenuto un avallo alla dittatura di Pinochet. Ribattevano i moderati che non c’era alcun rapporto fra una presenza sportiva e un legame ideologico.
Per dare il titolo al volume è stata scelta una delle frasi - forse la più famosa e la meno irriguardosa - che McEnroe, aggressivo nel linguaggio ancor più di quanto lo fosse nel gioco, rivolgeva ai giudici. «Man, you cannot be serious!».
Nato nel 1959 a Wiesbaden, in Germania, dove il padre prestava servizio come militare, John McEnroe fu il numero uno del mondo dal 1981 al 1984, ottenne 77 vittorie nei tornei di singolo e altrettante in quelli di doppio. Un palmarès eguagliato o - solo in pochi casi - superato dai fuoriclasse del tennis (per lo più poco propensi, diversamente da McEnroe, a misurarsi nel doppio). McEnroe è stato uno dei grandi nel giuoco, ma senza discussioni il più grande come attaccabrighe e come specialista dell’invettiva. I suoi scatti di nervi erano leggendari. Subì solo due squalifiche - con vittoria all’avversario - per l’unico motivo che gremiva le tribune d’una folla osannante o fischiante, e l’estrometterlo comportava un danno enorme. Per temperamento, e intemperanze, questo protagonista del passato fu l’esatto opposto d’un protagonista del presente, Roger Federer. Quanto lo svizzero è serio, controllato nei gesti e nelle parole, rispettoso verso i giudici, cortese, tanto il forsennato newyorkese era dedito alla rissa verbale - a volte più che verbale - e al turpiloquio. Questa autobiografia è un racconto di glorie tennistiche eccezionali e di continue incursioni nel pecoreccio e nel cavernicolo.
McEnroe è molto intelligente anche se - lo ammette tranquillamente - lo studio nell’università di Stanford non era il suo forte. Si sforzò, senza riuscirci, di fare progressi in un corso di «parapsicologie e fenomeni psichici», non ebbe miglior fortuna con un corso su «narcolessi e politica». Si rifaceva con la racchetta. Ma dentro di lui c’era un demone che alla prima provocazione si scatenava. Dopo che era diventato una star maturò la convinzione di potersi permettere tutto con tutti. «Qualcuno riteneva che i miei accessi d’ira fossero deliberati, che dessi in escandescenze apposta per sbaragliare gli avversari. Non è vero. Ho sempre pensato che se un avversario non era in grado di sopportare i miei eccessi d’ira aveva sbagliato mestiere... Qualcuno dell’ambiente decise che ero matto. Mi guardavano in un certo modo e io capivo subito che la pensavano così. Altri invece si scocciavano».
Un antipatico (ma lo era anche Jimmy Connors, e Ivan Lendl tutto poteva sembrare tranne che un simpaticone). Stefan Edberg era un gentiluomo, ma di lui un giornalista americano scrisse che «ha la velocità di un centometrista, la grazia di una ballerina e la personalità di una patata». Invece McEnroe di personalità ne ha al punto che diventa - o diventava? Non so quanto con il trascorrere degli anni si sia calmato - presunzione, arroganza, maleducazione. Ma gli sfoghi del forsennato nascondevano tanta fragilità. Nei momenti di sconforto, lui baciato dalla fortuna, piangeva. McEnroe sposò in prime nozze Tatum O’Neal, figlia del famoso attore Ryan, ed essa stessa assurta alla gloria cinematografica come giovanissima protagonista di Paper moon. Era stata la più giovane attrice premiata con l’Oscar. Formavano, in apparenza, la coppia perfetta, ricca e celebre. La nascita di tre figli aveva allietato il matrimonio. Ma non durò: per incomprensione, per le ambizioni frustrate di Tatum a un ritorno sullo schermo, per problemi di alcol, per problemi di droga.
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