In memoria di Testori, l'intellettuale «contro» della Milano che osava

In memoria di Testori, l'intellettuale «contro» della Milano che osava

di Luca Doninelli

Quest'anno cade il ventennale della morte di Giovanni Testori, il grande scrittore, critico d'arte e drammaturgo nato nel 1923 a Novate Milanese. La Regione Lombardia ha intitolato lunedì a Testori l'auditorium del nuovo palazzo alla presenza di Roberto Formigoni. E sono certo che chiunque sieda prossimamente su quella poltrona non potrà che rallegrarsi della scelta, visto che tutti in qualche modo - a destra a sinistra in alto e in basso - potranno rivendicare come «proprio» un personaggio che in realtà non fu di nessuno tranne che di Gesù Cristo, di sua madre e dei suoi cari. Oggi, poi, il Teatro Franco Parenti di Milano festeggia i primi 40 anni di vita proiettando quell'Ambleto di Testori che non fu solo il primo spettacolo prodotto e rappresentato in quel teatro (allora si chiamava Salone Pier Lombardo), ma fu la ragione dell'esistenza di quel teatro.
Dopo quasi 10 anni in cui aveva abbandonato il teatro, Testori fu invitato ad assistere alla Moscheta del Ruzante interpretata da Franco Parenti. Osservando il corpo e la faccia del grande attore, ascoltando la sua voce, guardando la sua bocca che recitava Ruzante, d'un tratto Testori cominciò a sentire, così disse a me, «altre parole»: una lingua nuova, bizzarra, comica, straziata, quel grammelò che diede vita al più grande capolavoro del teatro italiano del dopoguerra, La trilogia degli Scarrozzanti. Così Testori scrisse per Parenti Ambleto, prima parte della trilogia. Ma nessun teatro voleva produrre lo spettacolo, perciò Testori, Parenti e la giovanissima Andrée Shammah decisero di farselo loro, il teatro. Presero un cinema di semiperiferia e lo trasformarono in teatro.
Le commemorazioni sono utili e belle, specie se il commemorato è una persona amata. Il rischio però è quello di far coincidere il ricordo con una nuova bara: non più quella di legno, che va in terra, bensì la bara dell'ossequio. Invece quello che colpisce è proprio la vivacità di quegli anni, la spregiudicatezza di un tempo in cui i mostri sacri erano pochi, pochissimi. Oggi la cultura è tutta un mostro sacro: le chiamano icone. Ci sono le icone della letteratura, del cinema, del teatro, addirittura quelle del calcio. Emmobbasta! Ricordiamo Testori per quello che era: controcorrente, sempre pronto a farsi sputare in faccia dai benpensanti, sempre pronto a spaccare i fronti compatti, e che morì fra gli insulti - in nome di che? Quindici anni di amicizia vera, profonda, mi permettono di rispondere: fu in nome della dignità e dell'unicità di ogni singolo essere umano. Ma non si difende questa unicità senza dare scandalo, perché non si tratta di un principio generico (l'égalité) ma di carne e sangue. Ossia di tutto ciò che non si riduce a principio, a discorso.

Per questo nessuna parte politica potrà fare suo un uomo come lui. Ma chiunque potrà riconoscere nella sua opera quell'inquietudine, quella passione, quella non-scontatezza di cui abbiamo bisogno tutti. Specialmente in questa triste età delle icone.

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