Cultura e Spettacoli

Le memorie splendenti del poeta Rafael Alberti

I migliori libri di memoria sono quelli scritti dai poeti, poiché la loro prosa conserva il pathos che nei versi ha subito un processo di depurazione e sintesi. Se ci limitiamo alla letteratura moderna di lingua spagnola, vengono in mente i due grandi libri di Pablo Neruda, Confesso che ho vissuto e Per nascere son nato, a cui si deve aggiungere l'autobiografia di Gabriel García Márquez, Vivere per raccontarla. La differenza fra le due testimonianze consiste nel fatto che in García Márquez il racconto della vita è in funzione della scrittura; cioè il ritratto dell'infanzia e della giovinezza alimenta e spiega la nascita dei futuri romanzi dell'autore. In ogni modo si tratta di un periodo di ristretto ambito familiare e geografico, mentre in Neruda i ricordi si espandono e vanno dai cieli piovosi del Cile australe alle lontananze esotiche di Ceylon e Giacarta. Insomma, sono diverse le coordinate della vita e della storia che separano il poeta dal romanziere, sebbene li uniscano una stessa militanza ideologica.
Nella letteratura spagnola occorre però citare anche l'autobiografia Memoria de la melancolía di María Teresa León, moglie del poeta Rafael Alberti e, di quest'ultimo, La arboleda perdida, di cui ora sono riuniti in volume per la prima volta in Italia il terzo e quarto libro (L'albereto perduto, curato da Loretta Frattale, Editori Riuniti University Press, pagg. 420, euro 25). Il titolo richiama un luogo iconico del poeta, un melanconico spazio di ginestre della nativa baia del Porto di Santa Maria, a cui Rafael è rimasto sempre fedele. Da qui inizia il viaggio evocativo che la spinta al mito e la distanza temporale finiscono a volte per alterare, confondendo i contorni della realtà, fra tempo presente e tempo della rimembranza. Stiamo parlando della memoria di un ottantenne che risponde, su iniziativa di Sebastiano Grasso, suo amico e traduttore, all'invito di Piero Ostellino, direttore del Corriere della sera, di raccogliere per il giornale le foglie inedite del suo albereto (i cui «rami» abbracciano un periodo che va dal 1931 al 1987, dieci anni dopo il ritorno trionfale di Alberti nella Spagna democratica). Alberti lo fa limitandosi a mettere insieme «quello che mi è passato davanti, quello che so, anche solo a metà, sicuramente tra tanti errori, nomi e date sbagliate».

Da questa premessa è facile comprendere l'afflato lirico e il criterio soggettivo che dominano la ricostruzione dei fatti.

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