Marina Alberghini ha dedicato un volumetto (edito da Mursia, pagg. 120, euro 11) ai Gatti di potere. Il sottotitolo recita «I gatti consiglieri dei grandi della Terra». L’autrice ha credenziali solide per occuparsi di gatti. Ne possiede infatti tredici - insieme a due cani - e allinea nella propria bibliografia una serie di libri che vanno da Jacopo Bassano (1510-1592) & il suo gatto a Il gatto cosmico di Paul Klee, a L’ombra del gatto. Il magico sorriso di Lewis Carroll, a Louis-Ferdinand Céline gatto randagio. Mi accodo quindi al suo sapere pur essendo padrone - si fa per dire - soltanto d’un barboncino albicocca e d’una micia common european.
Il gatto, domestico ma non addomesticabile - ne avete mai visto uno nei circhi? - ha una presenza di rilievo nella letteratura e nella storia minore. Che è poi, non di rado, quella d’interesse maggiore. Noi gattofili amiamo attribuire alle nostre tigrette bonsai pensieri elaborati. Conosco qualcuno che vede in quegli occhi di smeraldo meditazioni sull’immortalità dell’anima. Di sicuro esageriamo, così come esagera la Alberghini accreditando ai gatti dei potenti un ruolo di suggeritori delle grandi decisioni. Eppure la sublime indifferenza del gatto è un insegnamento prezioso. Scrisse Hippolyte Taine, citato dalla Alberghini: «nella mia vita ho studiato tantissimi filosofi e tantissimi gatti, i gatti sono assolutamente superiori».
Nella galleria dei personaggi che si confidarono con il loro gatto, gli italiani sono in netta minoranza, anche se Caterina de’ Medici, gattofila regina di Francia, era toscanissima e anche se tra i «gatti devoti» è da annoverare il «micetto» di Annibale Sermattei della Genga, cioè papa Leone XII. Quel pontefice triste, ascetico e malaticcio, aveva un debole appunto per «micetto», e quando si sentì vicino alla morte volle assicurare il futuro del suo protetto. Per questo si rivolse non al primo venuto, ma all’ambasciatore di Francia François-René de Chateaubriand, scrittore di rango, che annoterà nelle sue Memorie d’oltretomba: «17 febbraio 1829, mi hanno appena consegnato il gatto del povero papa: è tutto grigio e molto mansueto come il suo antico padrone». Per niente mansueto era invece un altro amante dei gatti, l’implacabile cardinale di Richelieu. Nell’essere devoti, i mici non hanno davvero preclusioni. Maometto, a esempio, tagliò una larga manica del proprio mantello per non turbare il sonno del gatto che vi si era acciambellato sopra.
L’aneddotica moderna dei gatti di potere concerne soprattutto il mondo anglosassone. Winston Churchill prediligeva i gatti, non risparmiando loro, a causa della sua indole collerica, qualche insulto. Ecco un singolare episodio. Churchill stava parlando al telefono con il Lord Cancelliere quando il gatto Mickey cominciò a giocare con il filo del telefono. «Mi blocchi la linea idiota» urlò Churchill. Poi rivolto al lord cancelliere: «Non dicevo a te». In seguito, contrito, offrì al gatto le proprie scuse: «Non mi vuoi più bene?». Gli statunitensi sono bravissimi nel mitizzare gli atti e i detti del Presidente e della sua famiglia, e nel consegnare alla storia tutto ciò che nell’ambito di quella dimora avviene. Non fanno eccezione gli ospiti a quattro zampe del mister President di turno, da lunghissimo tempo protagonisti. Abraham Lincoln era un animalista istintivo e intensivo. Un testimone lo vide carezzare per un’ora il suo micione. Theodore Roosevelt è stato immortalato durante un ricevimento ufficiale accanto al suo gatto Slippers. Bill Clinton aveva un gatto a nome Socks.
Non so quanti e quali ospiti a quattro zampe abbia l’Eliseo.
E non so nemmeno quanti ne abbia il nostro Quirinale, dove lo spazio per cani e gatti certo non manca, ma dove prevalgono i cavalli. Un micio, durante quelle sfilate di mandarini ingessati che caratterizzano le solenni cerimonie italiane, ci starebbe proprio bene. Ma farebbe sfigurare, con la sua spontanea bellezza, le Alte Autorità lì schierate.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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