I sequel dividono: chi ama di più il primo, chi detesta il genere perché un romanzo finisce quando finisce. Se poi c'è di mezzo un film, come per Caos calmo , premio Strega 2006, in cui i panni di Pietro Paladini furono indossati da Nanni Moretti, è anche peggio. Ma ora Sandro Veronesi, dopo nove anni torna con Terre rare (Bompiani, pagg. 412, euro 19): l'ex manager vedovo ha lasciato Milano per la Roma più coatta, la tv per una concessionaria d'auto in società, l'incertezza sentimentale per una donna buona e cara della quale non sa se è innamorato. In poche pagine, si ritrova indagato dalla Finanza, scopre la disonestà del socio, vede la figlia scappare di casa.
Veronesi, che ha questo Paladini di diverso da quell'altro?
«Viene messo con le spalle al muro tanto da affrontare responsabilità profonde. A cinquant'anni deve diventare uomo: il metodo che ha usato in Caos calmo , la bolla di rimozione, non funziona più».
Conseguenze narrative?
«Smette di raccontarsela e di raccontarcela. Dopo 850 pagine da imbonitore, si tacerà».
Nelle prime pagine sembra «il solito stronzo»...
«Lo è. Vuole piacere, ma quando è sotto pressione dà il peggio. E da lì riemerge cambiato».
La Roma coatta aiuta a creare quest'immagine provocatoria.
«Anche Paladini s'incoatta, per mimetizzarsi. Ma la Roma proletaria, pasoliniana, non c'è più, nemmeno come illusione: più si scende nella classe sociale, più si corre il rischio dell'illegalità. Non che nelle alte sfere ci sia maggiore autonomia, ma esiste ancora spazio per una vita tranquilla e onesta».
Una luce periferica, livida. Un'altra Italia rispetto a quella di Caos calmo .
«Volevo descrivere l'Agro romano, non angelicarlo. Vivo da quelle parti, certe cose mi chiedono di essere penetrate, sono ipnotiche. Ma il libro non è un manifesto programmatico, anche se poi quel pezzo di Roma l'ho vestito come ho voluto. A un certo punto l'editor mi ha fatto notare: Ma qui son tutte canottiere!. Le voglio, ho detto, voglio tante canottiere. Magari gli ingorghi a Roma non sono fatti di sole Smart, ma mi sono preso la licenza di vederci quelle».
Paladini come «l'italiano» alla Sordi, però del Duemila?
«È diverso da quel tipo emblematico del '900 per un motivo: si fida degli altri. Non c'è quel cinismo terminale leggero ma tragico. E più di tutto si affida alle donne, che come sponde di un flipper lo rimbalzano verso la presa di coscienza. E la sua fiducia viene premiata».
Gli italiani si fidano?
«Questo ci manca. Ci difendiamo sempre. E non andiamo da nessuna parte, perché così tutto è caricaturato. Siamo maschere senza solidarietà».
Il nuovo Paladini ha la faccia di Moretti?
«Al cimitero davanti alla tomba del padre e nei dialoghi con il fratello mi sono sorpreso a morettiggiare, specie nella rilettura. Un retrogusto di Moretti è rimasto...».
Un giorno dirà «Paladini c'est moi »?
«Paladini è me. Sono io che non sono Paladini».
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