Le Figaro, alle ore 14,36 di ieri, è andata sul sicuro, usando sul proprio sito l'espressione «maître à penser». E meno di un'ora dopo, la nostra Adnkronos si è giocata un'altra carta obbligata per queste occasioni: «grande vecchio». Scelte azzeccate, perché Jean-Bertrand Lefevre-Pontalis, morto a poche ore dal suo ottantanovesimo compleanno, è stato l'una e l'altra cosa.
Maître à penser perché non soltanto ha sistematizzato nel '67, nelle 400 voci del Vocabulaire de la psychanalyse (scritto con Jean-Louis Laplanche e tradotto l'anno dopo da Laterza con il titolo Enciclopedia della psicanalisi) la propria disciplina, ma anche, e forse soprattutto, perché è stato una delle anime di Gallimard, dov'era entrato nel '79 a far parte del prestigioso e ascoltatissimo comitato di lettura. E del resto «grande vecchio» sia in quanto a sua volta «figlio» di altri due grandi vecchi, Jean-Paul Sartre e Jacques Lacan, sia perché, in modi diversi, «uccise» quei suoi «padri»: durante la stesura della propria autobiografia Sartre gli chiese di entrare in analisi ma Pontalis rifiutò; e dalle teorie di Lacan si separò nel 1970, fondando la Nouvelle Revue de Psychanalyse nel cui comitato di redazione figuravano Didier Anzieu, Andrè Green, Guy Rosolato, Jean Starobinski e Masud R. Khan.
Bisnipote dell'industriale dell'auto Louis Renault, si era laureato in filosofia alla Sorbona con una tesi su Spinoza. Nel passaggio dalla filosofia alla psicanalisi non tradì tuttavia il primo amore, poiché il suo magistero psicanalitico è stato decisamente di impianto e di estrazione umanistica, come confermano le sue opere in cui non sai bene collocare il confine che separa la saggistica dalla narrativa, l'«esprit géométrique» dall'«esprit de finesse», per citare un... «grande nonno» francese, Blaise Pascal.
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