Cultura e Spettacoli

"Come le mosche di Hollywood sogno il mondo in technicolor"

Drammaturgo, poeta, regista. Il maestro spagnolo sembra dire cose «surreali» Ma con un senso preciso: irridere ogni sistema costituito. Militari e pacifisti inclusi

"Come le mosche di Hollywood sogno il mondo in technicolor"

L'ultimo dei surrealisti, il «secondo» dei patafisici, il maestro dell'assurdo, l'illusionista del nonsense. Fernando Arrabal, spagnolo, ma nato in Marocco, 81 anni, ma giovanissimo, è drammaturgo, poeta, regista, romanziere, ha lavorato con André Breton, Tristan Tzara, Andy Warhol, ha fondato nel '63 il gruppo «Panico» con Alejandro Jodorowsky e Roland Topor. Ha riflettuto, sempre, sull'assurdità dell'esistenza e dell'arte. Cose che ha messo dentro i suoi libri e tirerà fuori nell'incontro di domani a Pordenonelegge. Intellettuale così barocco, stralunato, in-comprensibile, che vale la pena ascoltare.

Tornano a soffiare i venti di guerra, dalla Siria...
«Forse... persino nel teatro, è così pericoloso andare in scena con un coccodrillo vivo che è meglio sostituirlo con un bidello verde».

Lei è un maestro del pacifismo.
«In generale dopo la pulizia degli stivali di solito segue il frufrù delle pantofole».

In una delle sue opere più famose, L'albero di Guernica, scrive: «Le idee che arrivano sulle ali delle colombe, guidano il mondo».
«Le rondini, come i poeti, ritornano; anche se tutto fa ritorno».

Uno scrittore deve essere sempre contro la guerra?
«In questi momenti arriviamo a vedere dei giullari che lottano fieramente per la pace; e per l'astinenza “fanno l'amore».

Cosa può fare uno scrittore per “combattere” la guerra?
«I poeti hanno la fortuna di vivere nelle catacombe; da lì osserviamo che se il topo fosse una pantegana bacerebbe il topo che è diventato».

Il suo nuovo Il castello dei clandestini (Seam) è un monologo sui «senza patria» e il dramma dell'immigrazione.
«Si comprende che i ciechi (Omero, Borges...) sono i migliori testimoni visionari della loro epoca».

Lei è romanziere, drammaturgo, regista, poeta, pittore...
«L'unico vantaggio del porridge è che non ha spine e dell'“artista completo” è la sua parte incompleta (con il teorema di Kurt Gödel)».

Lei usa tutti i linguaggi della creatività. Oggi qual è il più efficace per esprimere un'idea?
«Solo i millepiedi snobisti portano le ciabatte di marca; senza pensarlo due volte il creatore...».

E Internet? Quale importanza ha nella «battaglia» per le idee?
«Senza Internet il nonno di Dante non avrebbe conosciuto la Divina Commedia».

Nella sua vita ha incontrato giganti della letteratura e dell'arte.
«Il più grande gigante che conosco è un elefante... così vago che fa solo turismo su Youtube».

Con quale artista ha collaborato con maggior soddisfazione?
«Mah... cosa fa il dio Pan per essere l'unico superstite dei quattro Avatar della modernità?».

Quale è l'insegnamento più importante della sua vita?
«Sapere che nella profondità il palombaro miope è visionario».

La persona che vorrebbe incontrare ancora in un'altra vita?
«Ho nostalgia di essi... Ogni giorno mi addolora la mancanza di Topor.. di Beckett... di Louise Burgeois, di Andy W... della mia antica guardiana... Sono così fedele a tutti loro che non cambio segno dello zodiaco».

E quella che preferirebbe non incontrare?
«I cannibali della politica... che certamente tutti senza eccezione morirono avvelenati».

Ha attraversato Surrealismo, Dadaismo, Pop art. Ed è un maestro dell'aforisma.
«I miei “arrabaleschi” piacciono tanto che le macchine Ferrari a forza di leggerli sono diventate così mistiche che invece di andare in garage vanno in chiesa».

Ha un aforisma per ognuna di queste tendenze?
«Soprattutto se la tendenza la seguono gli urologi con la malattia di Parkinson: sono i migliori masturbatori convulsivi».

Chi rilegge fra i classici? E chi legge fra i moderni?
«La cosa peggiore sono i libri scritti per i maîtres d'hôtel che sono meno maître che i loro maîtres».

Preferirebbe curare la Biennale d'arte di Venezia, dirigere il festival del cinema di Cannes o essere l'editore del New York Times? O cosa?
«Nulla di ciò in modo assoluto. Neppure essere diventato l'inventore superdotato del DRONE (aereo che certamente al contrario del suo inventore conosce la capitale dello Yemen)».

Lei adora il gioco degli scacchi. Cosa la affascina?
«I campioni cercano di imitare le tartarughe. Questi animaletti quando diventano contestatori non vogliano credere che passeranno l'inverno immobili: dicono che meditano».

È stato molte volte in Italia, e ha conosciuto molti scrittori e artisti. A chi è più legato?
«A quelli che come me e come le mosche tse-tse di Hollywood sognano in technicolor».

Ha conosciuto molto bene Armando Verdiglione, che pubblicava i suoi libri con la sua casa editrice Spirali. Che idea se ne è fatto?
«Il mio amico lo perseguitano, lo incalzano, lo tormentano, lo minacciano, gli danno la caccia, lo aggrediscono e mille altre cose ancora, e peggiori, da quando Moravia e io 25 anni fa lo abbiamo difeso pubblicamente. Mi vanto di aver chiesto di poterlo sostituire quando stava per morire nel carcere di Milano. La spiaggia arretrata vede, impotente, come il mare si ritira sempre».

E degli italiani, che idea ha?
«Mi affascinano. Li amo come il vino e le sbronze. In Italia persino i confessori ipocriti psicanalizzano gli psicosordomuti».

Essendo protagonista qui a Pordenone, mi dica la sua opinione sui festival.
«Tutti gli altri sono come le barzellette del fachiro che fanno ridere solo il suo letto di chiodi.

A Pordenone le “standing ovations” dei millepiedi valgono più di un milione di Sms».

Commenti