Da Napoleone ai Marines, quando l'arte fa la guerra

Spoliazioni, saccheggi, distruzioni: ecco il "museo degli orrori"

Da Napoleone ai Marines, quando l'arte fa la guerra

L'arte è un'eccellente risorsa per fare propaganda politica, e la politica è imbattibile nello strumentalizzare l'arte. La Storia lo ha manifestato ampiamente, ma ricordare i momenti, i modi e i casi più eclatanti in cui il potere ha «usato» l'arte e nello stesso tempo l'arte ha dimostrato tutto il proprio potere, è utile non solo per rileggere da una prospettiva particolare il passato, ma anche per capire alcune attuali dinamiche geo-politiche e allargare lo sguardo della cronaca recente, come il saccheggio del museo di Bagdad e di alcuni siti archeologici della Mesopotamia dopo la guerra d'Iraq del 2003-2011 o le razzie del museo del Cairo e i danni alla grande moschea di Aleppo durante la primavera araba.
Ecco, il breve saggio-mémoire dell'ex ambasciatore e oggi storico-giornalista Sergio Romano, L'arte in guerra (Skira), racconta come e perché le opere più preziose e simboliche nel corso dei conflitti diventano bottino di eserciti e dittatori, ma anche di presidenti democratici e di spregiudicati direttori di museo... «L'arte è sempre stata il simbolo del trionfo, la preda più ambita».
Dal Louvre, allestito e arricchito grazie alla Rivoluzione e alle guerre dell'esercito napoleonico, ai saccheggi coloniali (il Museo per l'Africa centrale di Tervuren, in Belgio, che ha il proprio «cuore di tenebra» nel materiale «raccolto» da Leopoldo II in Congo), dal sogno-incubo di Hitler di distruggere l'«arte degenerata» ebraica («Ma per l'Urss di Stalin quell'arte non era meno degenerata di quanto fosse nella Germania nazista») e di costruire a Linz un grande museo intitolato alla propria persona per raccogliere i capolavori dell'arte europea, ai «Monuments Men» di Eisenhower che dovevano tutelare il patrimonio artistico italiano dopo l'Armistizio (ma non poterono evitare Cassino), alla complicata politica delle restituzioni dopo il 1945 e che si trascinano ancora oggi (il tesoro di Priamo nei sotterranei del Puškin di Mosca, le varie opere italiane che ogni tanto spuntano sul mercato antiquario americano...), l'arte soprattutto negli ultimi due secoli si è trovata spesso a dover «fare la guerra».

Essenzialmente per due motivi: «Si confisca per lasciare agli atti, in un “museo degli orrori”, la prova della propria potenza, ma si confisca anche per distruggere persino la memoria dell'esistenza del nemico». In fondo un omaggio alla forza dell'arte.

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