«Questo non deve essere un dibattito sul nuovo realismo». E invece è stato un dibattito sul nuovo realismo. Le avvisaglie c'erano, l'incontro odorava di regolamento di conti già dal titolo: Filosofie da prima pagina. Il nuovo realismo e altre fascinazioni. Oltretutto c'era anche la smoking gun, un numero della rivista ParadoXa, uscito quest'estate, interamente dedicato al New Realism. Polemica assicurata, vista l'impietosa diagnosi in copertina, copyright Shakespeare: Molto rumore per nulla.
Nella giornata di studi ospitata lunedì scorso dal quartier generale della Fondazione Nova Spes a Roma in piazza Adriana, ufficialmente si doveva discutere delle liaison tra filosofia e stampa. A parlarne sono stati, ovviamente, tutti filosofi-giornalisti: il giornalista e conduttore Edoardo Camurri, il direttore della rivista Reset Giancarlo Bosetti, Armando Massarenti, responsabile del domenicale del Sole24Ore, e poi Felice Cimatti, docente e conduttore della trasmissione di Radio 3 Fahrenheit, Corrado Ocone, penna del Corriere della Sera e Marcello Veneziani, editorialista di questo quotidiano.
Ma il convitato di pietra è stato senza dubbio Maurizio Ferraris, animatore insieme a Mario De Caro del cosiddetto «Nuovo Realismo». Per la verità ormai vecchissimo, visto che la «svolta» del professore torinese risale agli anni Novanta. Una ventata d'aria fresca negli asfittici armadi del pensiero, questa la buona novella annunciata dal Manifesto del New Realism (in inglese perché global), che come biglietto da visita si richiama al venerando manifesto marx-engelsiano, e dunque «Uno spettro s'aggira per l'Europa».
Posta in gioco è niente di meno che il salvataggio della realtà, naufragata nelle troppe opinioni, interpretazioni e sbornie postmoderne varie. Per Ferraris, discepolo parricida del debolista Gianni Vattimo, il pensiero debole ha prodotto i reality, la sessantottina fantasia al potere ci ha regalato i populismi mediatici, l'ironia ha mistificato la realtà, anche il decostruzionismo è stato irresponsabile (ma anche «responsabile» è un aggettivo caduto in disgrazia). Invece la verità è che «se piove ci si bagna», e che «se uno prende senza le presine una pentola che è stata a lungo sul fuoco, si scotta».
Con questi slogan lapalissiani, serviti ai convegni con agili presentazioni in PowerPoint, l'ipermediatico Ferraris ha praticamente mandato al macero chilometri di pubblicistica francese, riesumando però l'interesse del grande pubblico per la filosofia. «Forse - adombra Camurri - il mondo fuori dai dipartimenti era semplicemente stufo dei postmodernismi, così è successo che le aule di Vattimo si sono svuotate e quelle di Ferraris riempite: gli studenti hanno semplicemente cambiato canale».
Abbastanza per far partire la riscossa degli antirealisti, indispettiti dall'essere pigiati sbrigativamente entro l'etichetta-pattumiera «postmodernismo» (e senza troppi distinguo). A promuovere il «contromanifesto» è Francesca Rigotti, che vede nella logica di Ferraris la classica filosofia del vincitore. Con diciture prepotenti come «La realtà è che
», ha monopolizzato la discussione di parte democratica e antiberlusconiana. E ha rovesciato l'argomento sul piatto dell'avversario: «Ma come si fa a imputare il berlusconismo ai postmoderni, dimenticando le complicità dei realismi nudi e crudi e delle concezioni forti con disastri come la Shoah e le megalomanie guerrafondaie?».
Per il pool antirealista è il «fatto del pluralismo» a essere in pericolo, poiché Ferraris, spiega la Rigotti, sta resuscitando «un sistema di hegeliana memoria, un nuovo Pensiero Unico fuori tempo massimo», paventa la studiosa. Anche Veneziani trova ingeneroso affibbiare al postmodernismo la responsabilità di tutti i mali della società: «È in azione il sempreverde meccanismo della ricerca del capro espiatorio», e così è anche per Bosetti, che prende di mira la debolezza del nuovo realismo sul terreno della proposta politica, «laddove la verità temperata dal postmodernismo non combatte la legittima pretesa al vero, ma la sua ideologizzazione e imposizione violenta». Bosetti che poi però ammette: «Ferraris vince perché è simpatico e brillante. Un Kant oggi non riuscirebbe a farsi pubblicare neanche una riga
».
A fare da avvocato al «pensiero forte» ferrariano è Massarenti, che ha rivendicato l'importanza della scienza: «C'è un pregiudizio a prescindere che scatta automaticamente ogni volta che un filosofo adotta un approccio naturalistico», lamenta.
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