le opinioni dei lettori

Pubblichiamo alcune delle e-mail giunte in redazione (all’indirizzo essereitaliani@ilgiornale.it) sul tema: cosa significa oggi essere italiani?

Non ho mai desiderato neppure per un momento di non essere italiana. Siamo un popolo con tanti problemi e tanti difetti, è vero, ma non penso che negli altri Paesi se la cavino meglio... Sembriamo così divisi, ma in fondo ci vogliamo bene, e nei momenti di difficoltà siamo solidali e ci scopriamo più uniti di quanto crediamo. Abbiamo tradizioni, arte, città meravigliose, un passato ricco di ogni bellezza, tutti ci conoscono nel mondo, e secondo me pure ci invidiano. L’Italia è come mia madre, non potrei mai rinnegarla.
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Essere italiani significa riconoscersi nei versi di Alessandro Manzoni che recitano «Una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie, di sangue, di cor».
Enzo Todaro
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I tempi non sono ancora maturi per sentirsi compiutamente e orgogliosamente italiani, e paradossalmente proprio per l’enorme peso storico-culturale che tale consapevolezza comporta. Dobbiamo ancora digerire il fascismo e il comunismo, entrambi di cultura illiberale. Però fuori dai nostri confini è più facile essere orgogliosamente italiani. Ad esempio, a San Pietroburgo davanti al Palazzo d’estate c’è il busto dell’architetto italiano che lo costruì, e davanti alla facoltà di Architettura dell’Università di Mosca ci sono tre medaglioni in memoria di tre grandi architetti russi e a sinistra tre medaglioni di altrettanti grandi architetti italiani: i loro maestri, come riconoscono gli stessi russi. All’estero quando si dice italiani tutti pensano a grandi cose che vanno dalla moda all’arte, dalla musica alla Roma dei Cesari, al cinema, alla cucina... Tutti si meravigliano di come sia possibile che un paese così «piccolo» geograficamente abbia potuto dare così tanto in ogni campo e in ogni tempo. Cos’altro serve per sentirsi orgogliosamente italiani? Non è così difficile non essere quelle caricature di italiani dei Cinepanettoni.
Giovanni Potenza
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Significa amare la propria storia, le origini, le tradizioni; vuol dire amare la nostra cultura, sforzarsi per conservarla e farla apprezzare da quanti vengono in questo fortunato Paese, unico al mondo per la sua bellezza, per la molteplicità di paesaggi, monumenti, usanze, dialetti, unico per quanto ha saputo dare al resto del mondo in termini di civiltà. Vuol dire restare in questa Nazione, conservare quanto di bello e buono esiste, per impegnarsi a riparare i guasti che noi stessi abbiamo fatto o a cui abbiamo contribuito con la nostra indifferenza. Ma come facciamo a non pensare che questa nazione è patrimonio di tutti e tutti dobbiamo contribuire a salvarla?
Carlo Porcu
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Più che in altre realtà e tradizioni nazionali dell’Europa, l’essere italiani oggi deve voler dire in primo luogo impegnarsi ad avere qualcosa della tradizione ideale e filosofica propria da condividere e da amare nel presente e nella modernità. Su questo punto, come italiani abbiamo non poco da fare e, soprattutto, non poco da abbandonare: mi riferisco a quella concezione lineare della storia di derivazione progressista, positivista e neo-illuministica, per la quale ha di gran lunga valore quel che siamo e saremo e non quel che siamo stati. E molto abbiamo, invece, da recuperare: intendo la visione circolare della storia, di matrice classica, per la quale la vita nel suo completo svolgersi è sempre un ritorno. Augusto del Noce scriveva: «... non è affatto vero che quel che viene dopo valga di più di quel che vien prima...». Ecco, avere uno sguardo aperto anche a quello che l’Italia fu prima di ora - senza spirito passatista - ma con la meraviglia di scoprire nel tempo presente tracce e segni di una tradizione nazionale viva e feconda. Dunque, non l’eterno ritorno nietzschiano e nichilista al di là del bene e del male, ma ritorno all’origine nella distinzione del bene dal male: sul piano politico, morale, religioso.
Alberto Bianchi
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Significa credere nel nostro Paese e nelle potenzialità della nostra gente, ora più che mai. Significa affrontare i problemi, le crisi economiche, le mafie, le tensioni politiche e tutte le sfide più grandi che il futuro ci proporrà, con la forza e la determinazione che noi italiani sappiamo sfruttare nei momenti di maggiore difficoltà. Posso affermare con certezza che «l’essere nato italiano» è il più grande dono che potessi ricevere dalla vita.
Gianandrea Massoletti
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Lamentosi, furbi, ingovernabili. Ecco cosa significa per me essere italiani.
Lettera firmata
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Molti popoli, con meno Storia del nostro, nell’800 hanno fondato una loro nazionalità, l’hanno fatta nascere da (a volte presunti) miti fondativi e su di essi hanno costruito il loro essere. Niente di più e niente di meno quello che dovremmo fare noi italiani, con l’unica differenza di avere molti possibili miti fondativi cui ispirarci: la Roma repubblicana o imperiale, i Comuni, le Signorie... Forse è proprio questa mancanza di un unico paragone storico cui ispirarci che ha danneggiato irrimediabilmente lo sforzo risorgimentale di creare una nazione italiana. O forse perché le nostre classi dirigenti hanno sempre pensato che gli italiani, al contrario di ciò che pensava D’Azeglio, erano già fatti, plasmati da millenni di alterne vicende storiche, e che non ci fosse bisogno di uno sforzo verso la creazione di un popolo, ma al massimo verso la creazione di uno Stato. Quando questo è morto, spazzato via dal disastro bellico della seconda guerra mondiale si è pensato che fosse morta anche la Patria, ma la Patria non è lo Stato, la Patria può vivere e prosperare anche senza un’entità statale o sotto uno stato straniero. La mancanza di un riferimento ideale comune rende gli italiani marcatamente localistici perché è il Comune o al massimo la Regione a rappresentare la manifestazione reale del loro retaggio storico. La nostra italianità si manifesta nel rapporto con l’altro, col diverso, con lo straniero, ma non agisce come sentimento accomunante, bensì come sentimento comune: in pratica ognuno di noi è italiano, ma ognuno lo è a modo suo.
Antonio Cocco
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Risiedo nelle Antille Francesi da anni. Non faccio parte della fascia di emigranti costretti a espatriare per necessità di lavoro, ma comunque essere italiani all’estero vuol dire vergognarsene spesso per tutte le calunnie che quotidianamente vengono pubblicate su quotidiani e riviste italiane, che poi rimbalzano all’estero. Un risultato d’immagine pesantemente negativo. Quella di buttarsi fango addosso è una vecchia abitudine che dev’essere interrotta. L’orgoglio di appartenere a un popolo eletto per cultura, tradizioni, storia non deve essere sprecato gettando immondizia dentro casa nostra.
Carlo d’Itri
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Nonostante tutti i lati negativi, il periodo fascista resta l’unico tentativo importante per consolidare una qualche identità nazionale basandola sull’idea forte della romanità che ha attraversato i secoli e che potrebbe essere ancora l’idea portante. Occorre poi insistere sugli altri snodi forti della storia italiana quali il Rinascimento, l’Umanesimo, le personalità culturali che hanno «popolato» i vari secoli della storia italiana. Ciò comporta, da parte soprattutto della scuola, insegnare con attenzione questi momenti e le nostre personalità di spicco. Ed è la strada attraverso la quale deve passare l’integrazione degli stranieri immigrati.
Edoardo Martinelli
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Per me essere italiano significa avere senso di comunità nazionale, avere senso della propria storia e delle proprie origini e naturalmente orgoglio di quanto di buono e di bello ci hanno lasciato le precedenti generazioni. L’importante è esser coscienti e orgogliosi della propria storia e del proprio passato e sentirsi comunità presente e passata, e non vergognarsene anche se in passato abbiamo avuto politici che prendevano ordini da potenze straniere, in contrasto cogli interessi nazionali.
Bruno
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Per «essere italiani» basta la cittadinanza, altra cosa è «sentirsi italiani». Per prima cosa occorre aver rispetto per quello che hanno fatto per noi i nostri padri: loro, di destra e di sinistra, pur nelle divisioni ideologiche avevano come primo comandamento salvaguardare la famiglia, che poi diventava difendere la propria città o il proprio «paesello» e che, allargando il concetto, significava difendere il proprio Paese cioè l’Italia.
Patrizio Marzocchi
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Vuol dire condividere una lingua, delle tradizioni, una cultura giudeo-cristiana che inconsciamente condividono anche gli atei.

Aggiungo che «essere italiani» non è una cosa di destra o di sinistra, è molto di più e per uno che è nato e vive all’estero come me l’«italianità» è una cosa vitale. Sono le cinque “R” a farci italiani: la Roma antica, il Rinascimento, il Risorgimento, la Resistenza, e la Repubblica.
Mauro Simioni

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