Ottavio Bariè spiega le mille insidie della Guerra fredda

Ottavio Bariè spiega le mille insidie della Guerra fredda

W alter Lippmann pubblicò nel 1947 un volume dal titolo The Cold War. A Study in U.S. Foreign Policy originato da una serie di articoli sulle strategie di politica estera dell'amministrazione Truman. L'espressione «The Cold War» divenne popolare e finì per indicare quella fase dei rapporti internazionali caratterizzata dal bipolarismo delle superpotenze, Usa e Urss, a seguito della rottura della Grande Alleanza che aveva unito le democrazie occidentali e l'Urss contro i regimi autoritari e totalitari di ispirazione fascista. Iniziata, convenzionalmente, nel 1947, la Guerra Fredda terminò, sempre convenzionalmente, con il crollo dei regimi europei fondati sul socialismo reale tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio dei Novanta. Quel cinquantennio di storia vide conflitti armati, anche sanguinosi, che però non spinsero mai le superpotenze al confronto diretto. Non si ebbe, in altre parole, un nuovo conflitto generalizzato. Eppure quel periodo, come ha osservato un grande studioso delle relazioni internazionali, Ottavio Bariè nel suo ultimo volume, Dalla guerra fredda alla grande crisi. Il nuovo mondo delle relazioni internazionali (Il Mulino, Bologna, pp. 280, Euro 23), finalista al Premio Acqui Storia, sotto una «staticità imposta» fu una grande «epoca rivoluzionaria». E quando il sistema bipolare venne meno e dall'«ordine di Yalta» si passò al «nuovo disordine mondiale», l'Occidente, pur uscito vittorioso dal grande confronto ideologico e politico con il mondo comunista, fu messo alla prova. L'idea, prospettata da Francis Fukuyama, che la storia fosse finita con la vittoria della liberal-democrazia sul comunismo si rivelò utopistica, tanto che Samuel P. Huntington ebbe buon gioco a parlare di «scontro di civiltà» e di conflitti culturali, etnici e religiosi.
La fine dell'equilibrio bipolare fece emergere nuove zone di tensione, a cominciare dal radicalismo islamico. Questo inaugurò una stagione di terrorismo in Occidente culminata con l'attacco organizzato da al-Qaeda l'11 settembre 2011 a New York e a Washington. La superpotenza superstite della guerra fredda nel corso degli anni Novanta non aveva sostituito, pur potendolo fare, il sistema bipolare Usa-Urss con un sistema monopolare delle relazioni internazionali, ma si era attenuta alla linea di internazionalismo delle Nazioni Unite. Dopo l'attacco alle Torri Gemelle, Bush jr si ritrovò a guidare la «guerra al terrore», che non era più una operazione di polizia internazionale, come quelle portate avanti dai suoi predecessori, ma una guerra totale, in qualche modo una «crociata» che costrinse gli Stati Uniti a operare da protagonisti, nel bene e nel male, nel nuovo «disordine mondiale». Il libro di Bariè, allievo di Federico Chabod e di Franco Valsecchi e ultimo esponente della grande storiografia italiana, offre un quadro articolato delle tensioni e dei problemi internazionali degli ultimi due decenni. E deve essere letto insieme a un altro volume, Dall'impero britannico all'impero americano (Le Lettere, Firenze, pp.

386, euro 28), nel quale Massimo De Leonardis ha raccolto, in occasione dei novant'anni dell'autore, gli scritti più significativi dello stesso Bariè sul secolo dal 1815 al 1914 e sulla Guerra Fredda. Le due opere forniscono una bussola sicura per orientarsi nei meandri del mondo contemporaneo.

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