Cultura e Spettacoli

Il Paese del bello alla prova del telefonino

"Se si capisce, è una sedia. Se non si capisce, è design". Così Maurizio Crozza - nei panni dell'archistar Fuffas - sintetizza quello che in realtà il design non è

Il Paese del bello alla prova del telefonino

«Se si capisce, è una sedia. Se non si capisce, è design». Così Maurizio Crozza - nei panni dell'archistar Fuffas - sintetizza quello che in realtà il design non è. O meglio: non dovrebbe essere, e soprattutto se parla italiano. Perché se c'è una cosa che identifica il design tricolore è proprio il connubio tra funzionalità e forma. Il manufatto, in questo caso la sedia, è pensato per soddisfare un'esigenza e dunque migliorare la qualità della vita. Questo è il design: la disciplina tecnico-scientifica che progetta qualcosa di funzionale oltre che bello.

Anzi, più che «bello», puntualizza Luciano Galimberti, presidente dell'Adi (Associazione per il disegno industriale), «direi giusto, corretto, coinvolgente. Pensiamo alle lampade considerate tra i capolavori assoluti di design. Sono nate per soddisfare un bisogno e solo in un secondo momento sono diventate oggetti iconici per la loro forma. Che possiamo considerare un elemento di riconoscibilità ma non discriminante».

Non per nulla nei musei e nelle sale espositive di settore campeggiano oggetti di uso molto concreto: le macchine da scrivere Olivetti, su tutte la Lettera 22, la pinza freno Brembo, il generatore di neve artificiale TechnoAlpin, un maniglione della metropolitana milanese anni Sessanta, la macchina da cucire Nizzoli-Necchi, l'apparecchiatura odontoiatrica Isotron firmata Giugiaro. E via discorrendo.

Del resto, la patria del design è la pragmatica Lombardia, con vetta in Milano, un'area dove la scintilla di partenza viene subito tradotta in un manufatto che a sua volta viene comunicato tutt'uno con lo sbarco sul mercato. Il processo accade e si ripete - è vero - lungo tutta la Penisola, ma prima e più efficacemente qui. Correva il 1961 quando Milano s'inventò il Salone del Mobile (quest'anno si apre il 7 giugno), l'evento fieristico di Rho Fiera oggi riferimento internazionale per il settore dell'arredo e più in generale del design, con 2mila espositori, di cui il 25% straniero.

STRADE NUOVE
Considerato che il design va dai complementi d'arredo all'interfaccia del telefonino o dei computer, quella specificazione «del mobile» non sta un po' stretta? Maria Porro, presidente del Salone, non ha dubbi: «È giusto mantenere il focus sull'arredamento e sul mondo della casa pur essendo pienamente consapevoli della contaminazione fra ambiti. Quindi sì, forse alla fine sta un po' stretta, però serve a dare specificità e forza ai contenuti, evitando dispersioni». E comunque l'evento fieristico si completa con il FuoriSalone, una cornice cresciuta al punto da mangiarsi quasi il quadro con i suoi 400 eventi, mostre, installazioni tra negozi, cortili, chiostri, chiese sconsacrate, giardini ed orti (il Botanico anzitutto), musei, università in testa la Statale con il trionfo delle installazioni di INTERNI Design Re-Generation. E palazzi prontamente - e lautamente - affittati al marchio di grido, come nel caso di Palazzo Serbelloni, quest'anno casa di Tom Dixon, o Palazzo Clerici che accoglierà le novità Porsche.

NASCITA DI UNA CAPITALE
Milano, dunque, capitale. In città, come detto, si tengono il Salone e il FuoriSalone (dal 1991). Qui c'è la Triennale che dal 1923 è vetrina e luogo di dibattito, l'ADI (dal 1956), l'Associazione per il disegno industriale, e il suo Compasso d'Oro, il più antico è fra i più autorevoli premi di settore, lo istituì Giò Ponti. È a Milano che ha sede Interni (1954), la rivista che sta al design come Vogue alla moda, equazione che vale per le rispettive direttrici: Gilda Bojardi, al timone di Interni dal 1994, e Anna Wintour, in sella dal 1988. E ancor prima: in questo territorio si progetta e si produce più che altrove. La ragione del primato? Riavvolgiamo il nastro. «Dagli anni Cinquanta il sistema produttivo e dunque anche il disegno industriale hanno avuto il proprio perno in città, diventata l'epicentro di un terremoto che ha poi interessato l'intera Italia. Il sistema valoriale milanese, fatto di attenzione alla qualità e alla democraticità del prodotto, si è diffuso lungo i 1.300 chilometri della Penisola», spiega Luciano Galimberti, presidente dell'ADI.

«Milano - continua Marco Sammicheli, direttore del Museo del Design Italiano della Triennale - ha saputo costruire un sistema che ha connesso la creatività con la formazione, l'industria e la distribuzione. S'aggiunga che una manifestazione come il Salone ha riunito le energie del territorio, creando ponti tra luoghi di produzione, penso alle aziende brianzole, con i luoghi della creazione, e la mente va al Politecnico, ma è giusto un esempio che posso citare tra i tanti».

In breve, a Milano l'arte si è saldata con l'artigianato, e la sintesi è diventata naturale. Il processo si è verificato in modo intensivo a partire dagli anni Settanta, nel senso che prima «c'erano sì realtà che avevano intuito la necessità di uscire dalla dimensione manifatturiera artigiana, ma si trattava di fenomeni sporadici». I pionieri furono capitani d'azienda come Cassina, Molteni, Porro, nomi chiave «di un capitalismo familiare che ha segnato la strada maestra del design italiano. Altro tratto distintivo del design tricolore - ancora Sammicheli - è che non è nato affiancato da un'industria radicata, ma sull'onda delle grandi scommesse di designer illuminati». Tra di loro Giò Ponti, Vico Magistretti, Ettore Sottsass, Enzo Mari, Achille Castiglioni, Bruno Munari.

Oggi a brillare nel nostro Paese sono nomi come Piero Lissoni, Michele De Lucchi (sedia First Chair), Antonio Citterio (armadietti Mobil per Kartell), Pietro Ferruccio Laviani (lampada Bourgie per Kartell), Matteo Thun.

IL CAMMINO DEI PIONIERI
Ma che dire del proto-design? Cosa era il design prima del 1946, l'anno prescelto dalla Triennale per avviare la sua collezione permanente? «Era un lusso per pochi- continua Sammicheli - ristretto al puro ambito artigianale. Il cambio di marcia c'è stato quando i designer italiani, e mi piace rimarcare che furono i primi in assoluto, capirono che il design avrebbe cambiato i comportamenti e ripensato gli stili di vita. Con il boom economico, la dimensione artigiana riservata a pochi privilegiati si è avviata a conquistare i grandi numeri e fasce sempre più ampie di pubblico». Da allora, rimarca Galimberti, «il design tricolore non si è mai occupato della sola forma, ma delle relazioni che i prodotti hanno con il vivere quotidiano. L'ambizione è sempre stata quella di migliorare la qualità della vita. Attitudine che tutt'oggi ci contraddistingue».

NUMERI E FATTURATI
Al di là delle parodie di Crozza, il design è tutt'altro che effimero. Incide significativamente sul Pil italiano, come documentano le periodiche analisi della Fondazione Symbola, inclusa l'ultima di aprile. Il settore conta 30 mila imprese che nel 2020 hanno generato un valore aggiunto di 2,5 miliardi di euro (erano 3,1 miliardi in fase pre-Covid) occupando 61 mila addetti (64mila nel 2019). Le imprese si distribuiscono su tutto il territorio nazionale, ma 6 su 7 sono in Lombardia, Piemonte, EmiliaRomagna e Veneto. Tra le provincie primeggiano Milano (15% imprese e 18% valore aggiunto nazionale), Roma (6,7% e 5,3%), Torino (5% e 7,8%).

In Europa siamo il Paese con più aziende operanti nel settore, davanti a Germania e a Francia. Tuttavia l'Italia è seconda per fatturato e terza per numero di addetti e valore aggiunto, fanno meglio di noi UK e Germania. E questo perché nel nostro Paese, si sa, prevalgono le micro, le piccole e medie imprese. Da noi, addirittura le microimprese del settore (sotto i 100 mila euro di fatturato) assorbono oltre la metà dell'occupazione, mentre le imprese con fatturato superiore a 5 milioni di euro hanno un'incidenza occupazionale sotto il 10%. Premesso che il piccolo non è bello, semmai è fragile e instabile, ciò che comunque dà forza alle minuscole dimensioni dei nostri operatori è il fatto che sono integrati in una filiera ricca e articolata.

Da qui, però, bisogna guardare al futuro. Come sarà? In che direzione sta andando? Le installazioni di Interni alla Statale, all'Orto Botanico di Brera, all'Audi House of Progress e agli IBM Studios in piazza Gae Aulenti sono state pensate per far riflettere sul tema. «Il design - spiega Gilda Bojardi- sarà sempre più attento ai temi della sostenibilità in termini di ricerca e utilizzo di nuovi materiali, riuso e dunque circolarità.

Anche il design è una componente fondamentale nelle operazioni di tutela del pianeta».

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