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Il segreto della palestra di Platone: così ci insegna a lottare

Per il filosofo greco anima e corpo erano legate. Per questo chiedeva che venissero allenate entrambe. In uno slancio ascetico

Il segreto della palestra di Platone: così ci insegna a lottare

I corpi si contorcono sotto il caldo sole di Grecia. Un giovane cade, atterrato da un colpo tremendo, e la sabbia - finissima - gli resta incollata addosso. Il ragazzo si rialza, barcollando un po'. Alza lo sguardo e pianta i piedi a terra. Ruota il proprio corpo e sferra un pugno micidiale. Il suo avversario crolla. Immobile.

Poco distante, sotto un colonnato, un uomo guarda soddisfatto quei ragazzi allenarsi. E' Platone, il fondatore dell'Accademia. E' stato lui, qualche anno prima, a coniare il termine philosophia (amore per il sapere), dando così un nome a coloro che, mossi da un desiderio ardente, cercavano di comprendere prima il mondo e poi l'uomo. Per forgiare questo termine, Platone parte da philoponia (l'amore per la fatica), un concetto che aveva imparato e messo in pratica grazie al suo maestro di lotta.

L'Accademia di Platone era questo: un luogo in cui chiunque lo volesse poteva migliorare se stesso. Nell'anima e nel corpo. L'amore per il sapere era mosso (e forse lo dovrebbe essere ancora) dal desiderio di essere sempre migliori. In poche parole, era una questione di ascesi, come spiega Simone Regazzoni in La palestra di Platone. Filosofia come allenamento (Ponte alle Grazie): "La filosofia come askesis, cura e allenamento integrale di sé, come trasformazione della vita (...). Askesis (da cui deriverà il termine 'ascesi') significa, in greco antico, 'allenamento', in particolare fisico, 'esercizio ginnico' e anche, con riferimento a una forma di vita, 'vita dei lottatori'".

I filosofi non sono persone che se ne stanno sedute a ragionare dei massimi sistemi, ma coloro che sono disposti a sacrificare se stessi per scoprirsi. A provare fatica, sofferenza e dolore, certi che tutto questo darà frutto. Sono loro a porsi una legge e a sottomettersi ad essa per un bene più grande. Come scrive Ortega y Gasset ne La ribellione delle masse: "Sono gli uomini selezionati, i nobili, gli unici attivi, e non solo reattivi, per i quali vivere è una perpetua tensione, un'incessante disciplina. Disciplina - askesis. Sono gli asceti".

Il filosofo, ma potremmo anche dire l'uomo che vuol migliorare se stesso, si pone davanti alla vita come un soldato davanti a una battaglia o, se preferite, come un pugile sul ring. Gli stessi dialoghi scritti da Platone sono una forma di lotta. Aristocle (questo il vero nome del filosofo greco) vuole sconfiggere i suoi rivali e lo fa con la dialettica. I suoi Dialoghi sono pugni sferrati. La sua vita un'eterna lotta. Come lui anche Marco Aurelio, l'imperatore filosofo, che, nei Pensieri, scrive: "Vivere è un'arte che assomiglia più alla lotta che alla danza, perché bisogna sempre tenersi pronti e saldi contro i colpi che ci arrivano imprevisti".

Come nota H. L. Reid, "il Ginnasio platonico era pensato per allenare anime belle in forti corpi atletici". Lì, le anime e i corpi potevano sfinirsi e ascendere: "Sfinir-si significa fare esperienza della fine come superamento di sé, trasformazione del limite in un passaggio ad altro da sé", scrive Regazzoni. Ogni prova rappresentava una sfida, della mente e del corpo. L'asticella si alzava ogni giorno di più. Perché, forse, è proprio questa l'essenza della filosofia: essere oggi migliore di ieri. Un po' come in Rocky: "Qui c'è ciò che conta:" - scrive Regazzoni - "scoprire il limite, incontrare la paura, sentire lo sforzo fino a cedere, e continuare a mettere un piede davanti all'altro. Lavorare da sé, su di sé, per elevare se stessi ed essere, così degni di ciò che accade".

In Platone, Sparta e Atene si fondono. I filosofi diventano guerrieri. Le loro anime sono templi, i loro corpi mura altissime. Sono questi i segreti dell'Accademia di Platone.

Chiusa agli ignavi, aperta a chiunque voglia migliorarsi.

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