Cultura e Spettacoli

Pastasciutta e cioccolato. A colazione da Audrey

Da adolescente, l'attrice conobbe la fame e ne restò per sempre segnata. Ecco perché diventò così golosa

Pastasciutta e cioccolato. A colazione da Audrey

Andava matta per la pasta. Ma più ancora per il cioccolato fondente, che teneva nel cassetto della biancheria. «Una volta comprata una scatola di cioccolatini, da ragazzina non smettevo fino a che non li avevo finiti tutti. Poi ho fatto progressi: diciamo che poteva durarmi anche un paio d'ore». Abitudini che stentiamo ad attribuire all'icona da modella di Audrey Hepburn: non ebbe mai le «curve», eppure quando negli anni delle maggiorate apparve in Vacanze romane (il suo primo successo, nel 1953), Funny Face , Colazione da Tiffany o Sabrina , i suoi look attillati, da maschietto, in vestitino nero o in bianco De Givenchy fecero il giro del mondo. E a oltre 20 anni dalla scomparsa, quell'immagine non solo si moltiplica su ogni tipo di oggetto di merchandising, ma torna in una mostra di foto inedite fino al 18 ottobre alla National Portrait Gallery di Londra, Portraits of an icon , in cui la si vede dai nove anni fino alla storica immagine del 1989, ambasciatrice Unicef accanto ai bimbi del Sudan.

Persino lei si riteneva troppo magra, eppure adorava la cucina: è parola di Luca Dotti, figlio dell'attrice e dello psichiatra italiano Andrea Dotti, che si è dedicato ad una diffusione massiva della memoria della madre attraverso una serie di volumi. L'ultimo dei quali, da cui sono tratte le abitudini di cui sopra, è appena arrivato in libreria negli Usa e non tratta soltanto di vizi e desideri alimentari. Anzi: Audrey at Home. Memories of My Mother's Kitchen (Harper Design, pagg. 256, $35) contiene divertenti aneddoti e foto - 250, di cui molte inedite, emozionanti foto - e soprattutto quanto di più perfetto per un libro in questo mondo di masterchef, ricette.

Il cioccolato le serviva a bandire la tristezza quando i suoi genitori litigavano. Si mangiava pane, cioccolato o unghie, in quei casi, ma il cioccolato funzionava meglio, era «il gusto della libertà». Nata a Bruxelles nel 1929 da padre inglese e madre olandese, la Hepburn studiò in un collegio in Inghilterra ma all'inizio della guerra si trasferì con la madre in Olanda e uno dei ricordi più vividi di «Sabrina» rimase per sempre un soldato olandese che, all'indomani della Liberazione, le offrì tavolette di cioccolato da spalmare di latte condensato. Ne mangiò così tante che stette male, dopo aver sofferto quella fame che il figlio considera responsabile della sua cronica magrezza («Mangiavamo ortiche e mettevamo sul fuoco erba e tulipani, ma non riuscivo a sopportarli»).

«Se questo libro potesse contenere solo due ricette» racconta Luca Dotti «ci sarebbero le sue preferite: spaghetti al pomodoro e torta al cioccolato (senza farina, ma con una quantità inverosimile di burro e uova). Erano i piatti delle celebrazioni, della serenità, del ritorno a casa. I piatti che inspiegabilmente ritrovavi più buoni il giorno dopo, i pièce de resistance di mia madre che, pur di prepararli tutti da sola, combatteva ogni volta con Giovanna, la sua cuoca».

Il rapporto di Audrey Hepburn con la cucina non sembra affatto quello di una donna più volte sospettata di anoressia - arrivò a pesare, a 16 anni, 35 chili - e sofferente di asma, itterizia, anemia e una seria forma di edema progressivo, tutti, si racconta nel mémoir, procurati dalla malnutrizione dell'adolescenza. Splendide foto in turbante accompagnano ad esempio il racconto del suo rapporto di amore gastronomico con il ristorante più famoso di Istanbul, Pandeli, amatissimo da star di Hollywood come De Niro, Tony Curtis, ma anche la Callas. Audrey adorava le sue polpette e ancor più la spigola al cartoccio, di cui nel volume fornisce non solo la ricetta originale dettagliata, ma le sue personali variazioni.

La cucina, e forse ancor più il rapporto con gli ingredienti, i prodotti della terra, la aiutò durante il periodo della crisi finanziaria, a metà anni Ottanta, quando usava dire al suo compagno, l'attore olandese Robert Wolders, che rimase con lei fino alla morte nel 1993: «Anche se perdiamo tutto, ci resta il giardino. Coltiveremo patate e mangeremo quelle». Avere abbastanza denaro per una casa in campagna, con alberi da frutto e giardino, era sempre stato il suo sogno e la sua dieta rimase semivegetariana.

Il libro svela in effetti qualche segreto detox, come mela grattugiata e yogurt per un giorno una volta al mese, ma dà il suo meglio nei piatti con carne, come la formula originale della Vichyssoise che lo chef del Ritz-Carlton di New York, Louis Diat, inventò in omaggio alla natìa Francia e che la Hepburn conservava gelosamente nel suo quaderno di ricette.

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