N el 1963, a 13 anni, il newyorchese Jim Carroll è una stella del basket giovanile. A 16 fa il suo esordio come poeta con Organic Trains, plaquette di 17 pagine. Nel 1973 esce la sua terza raccolta di versi, Living At The Movies: a 23 anni è il più giovane candidato al Pulitzer della storia. Nel frattempo la Paris Review pubblica stralci dei suoi diari (The Basketball Diaries). Jim lavora per Andy Warhol, frequenta Lou Reed, conosce i beat, incoraggia la sua fiamma Patti Smith. Nel 1978 i diari diventano un bestseller. Nel 1980 Carroll debutta nel rock con l'album Catholic Boy, inatteso successo punk, contenente inni quali People Who Died. La Jim Carroll Band prosegue per qualche anno fino a quando il titolare si ritira a scrivere. Pubblica poesie e saltuariamente dischi, partecipa a reading, lavora a un romanzo mai concluso. All'inizio del nuovo millennio, le sue condizioni di salute sono precarie. Jim non riesce ad assimilare il cibo. Un infarto se lo porta via nel 2009.
Già questo basterebbe per fare di Carroll un personaggio straordinario. Ma questa è solo la metà della storia, fatta di trionfi artistici e sportivi. L'altra metà, che prevede la tossicodipenza fin dall'adolescenza, è raccontata proprio nei diari, ora ritradotti da Tiziana Lo Porto: Jim entra nel campo di basket (minimumfax, pagg. 208, euro 10; c'è una precedente edizione di Frassinelli, 1995).
Nei diari troverete la vita sregolata di un tredicenne troppo precoce. Droga, dalle sniffate di colla all'eroina. Prostituzione e rapine per raccattare i soldi per la dose. Un campionario di «sballati»: esibizionisti, battone, ladri, sbirri, checche, guardoni, modelle, artistoidi. Carroll mette alla berlina l'ipocrisia delle convenzioni, dei gesti simbolici contro le ingiustizie, del paternalismo verso i «pezzenti». Pezzenti, come Jim stesso e i suoi amici del Lower East Side, destinati a raccogliere consensi nelle trasferte cestistiche nei quartieri alti: «tutti questi bei genitori che hanno più di una macchina e fumano la pipa e tutto il resto, be', non possono che applaudire ai poveracci venuti dritti dritti dal ghetto, hippie ricchi del cazzo, molto gentile da parte loro». L'ideologia, in un senso o nell'altro, però non lo fa impazzire. Ecco lo sguardo caustico sulle riunioni del Partito comunista: «La gente si lagna e suona canzoni folk, uno dei requisiti sembra essere la bruttezza». Il giudizio sui conservatori non è migliore: «Anche i russi sono una bella palla al piede, voi vecchi lo siete tutti, governi di morte che complottano e capelli bianchi che accecano». Jim è un figlio della guerra fredda, un aspetto centrale nel libro: la sensazione paranoica di trovarsi a passeggio in un bersaglio a cielo aperto allestito per i missili sovietici è causa-sintomo-metafora della precarietà esistenziale di Jim.
Il libro è solo in apparenza una corsa verso il nulla. Questo diario si chiude così: «Devo andare a vomitare. Voglio solo essere puro».
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