Stati generali della cultura, Biennale internazionale dei beni culturali, manifesti per rilanciare il patrimonio culturale, appelli pro e contro (soprattutto contro) l'ingresso dei privati nella gestione dei musei trasformati in fondazioni, occupazioni di teatri in nome della cultura al servizio del popolo, cortei studenteschi in difesa della «vera» cultura non «svenduta» alle aziende... Il dibattito su come vada intesa e finanziata la cultura è eterno ma la ormai cronica assenza di denaro nelle casse ministeriali rende il problema ancora più pressante. Tuttavia, nonostante la mole incredibile di articoli, convegni, incontri e sottoscrizioni, le proposte concrete latitano. Siamo più o meno inchiodati alla rivendicazione del ruolo dello Stato e dei fondi pubblici. Peccato siano finiti e dunque simili «rimedi» siano da confinarsi al campo della retorica.
Esce ora in Italia un libro che fin dal titolo ha il pregio della chiarezza: Kulturinfarkt. Azzerare i fondi pubblici per far rinascere la cultura (Marsilio, pagg. 268, euro 18). Gli autori sono Dieter Haselbach, Armin Klein, Pius Knüsel e Stephan Opitz, tutti quanti esperti del ramo «beni culturali» a vario titolo. La tesi centrale, per l'intellighenzia nostrana, è un'eresia. Per resuscitare la cultura è necessario restituire centralità alla funzione regolatrice del mercato; abbattere i finanziamenti destinati a istituzioni troppo numerose e troppo autoreferenziali; limitare la competenza dello Stato ad alcuni settori (archivi, biblioteche, tutela, conservazione); ripensare il rapporto tra pubblico e privato in termini di sussidiarietà.
Il saggio è accompagnato da un'introduzione firmata dall'editore italiano, dunque da Cesare De Michelis. Trattasi di un pugno nel ventre molle del mondo culturale italiano. «Nella società postmoderna l'intervento pubblico nel sistema della produzione - scrive l'editore - ha agito soprattutto nei confronti delle scelte artistiche, favorendo un sostanziale conformismo delle stesse». Non basta? Per molti artisti, l'insuccesso è diventato una stella da appuntarsi al petto, perché il popolo (bue) non capisce le innovazioni: ed ecco servito l'alibi per reclamare un'oasi fuori dal mercato ma ben rifornita grazie alle tasse del popolo (bue).
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