Cosa successe il 5 ottobre del 1582? Incredibilmente nulla. E i 6, il 7 e tutta la settimana dall’8 al 14 ottobre? Nulla, desolatamente nulla. Per il semplice fatto che nell’ottobre del 1582 la gente andò a letto giovedì 4 per svegliarsi il giorno sempre venerdì, ma già il 15. Non dormirono ovviamente 10 notti di fila, ma semplicemente l’introduzione del calendario Gregoriano aveva dovuto cancellare dieci giorni per allineare le date con il movimento degli astri.
Misurare il tempo è stato uno dei primi pensieri di qualsiasi civiltà che abbia avuto «contezza di se», anche se le conoscenza astronomiche non erano precisissime. E questo portò a clamorosi errori nei calcoli. I Maya, Aztechi e Toltechi avevano elaborato un sistema molto complesso basato su più cicli di durata diversa: il ciclo Tzolkin, 260 giorni, il ciclo Haab, 360 più i «cinque giorni fuori dal tempo» mentre il «Lungo computo» indicava il numero di giorni dall’inizio dell’era maya. Il calendario egizio era invece composto da tre stagioni di quattro mesi di 30 giorni ciascuno, per un totale, quindi, di 360 giorni, a cui venivano aggiunti a fine anno 5 o 6 giorni, detti «epagomeni» per far tornare i conti. Il calendario cinese era per molti aspetti simile a quello lunisolare ebraico, prevedendo anni comuni, composti da 12 mesi e lunghi 353, 354 o 355 giorni, e anni «embolismici», composti da 13 mesi e lunghi 383, 384 o 385 giorni.
Massima confusione dunque. Anche in Italia dove inizialmente vigeva il calendario attribuito a Romolo, che secondo al leggenda avrebbe fondato la Città Eterna nel 753 avanti Cristo. Calendario composto da dieci mesi: Martius (31 giorni), Aprilis (30), Maius (31), Iunius (30), Quintilis (31), Sextilis (30), September (30), October (31), November (30) e December, 30 giorni. In totale dunque 304 giorni, ne mancavano 61 che di fatto non erano assegnati a nessun mese, non esistendo gennaio e febbraio. Quindi una volta trascorsi si passava direttamente alle «calende» di Martius. Non poteva reggere così nel 713 intervenne Numa Pompilio, secondo re di Roma, che aggiustò parecchio le cose. Vennero aggiunti due mesi, Ianuarius (29 giorni) e Februarius (28), rivista la durata degli altri dieci, portando la durata complessiva a 355 giorni. Ne mancavano sempre una decina a cui si decise di provvedere aggiungendo periodicamente, su iniziativa del Pontefice Massimo, il mese di «Mercedonio» composto da 27 giorni.
Per circa sette secoli si andò avanti così fino a quando nel 46 a.C. non intervenne nientemeno che Giulio Cesare. Non contento di aver conquistato la Gallia, invaso Britannia e Germania, combattuto in Spagna, Grecia, Egitto, Ponto e Africa, nel 46 avanti Cristo decise di mettere mano ai calendari eliminando il «Mercedonio», portando la durata dell’anno a 365 giorni e introducendo l’anno bisestile. In suo onore due ani dopo «Quintilis» fu ribattezzato «Iulius» mentre più tardi il suo sucessore Augusto trasformò «Sextilis» in «Augustus».
Quasi ci siamo, il sistema giuliano resistette per ben 15 secoli fino a quando qualcuno non si accorse che non bastava introdurre un giorno ogni quattro anni per allineare il calendario ufficiale a quello solare. La differenza ogni anno non era di infatti di 6 ore esatte. In tal modo ogni 128 anni circa si rimaneva indietro di 24 ore. Se cominciò a sospettare qualcosa già nel IV secolo ma solo nel Cinquecento papa Gregorio XIII decise di aggiustare le cose e nominò una commissione di esperti, presieduta dal matematico bavarese Cristoforo Clavio, gesuita, e composta dal medico calabrese Luigi Lilio, dal matematico ed astronomo siciliano Giuseppe Scala e dal matematico perugino Ignazio Danti. Per sistemare il calendario giuliano furono usate le misurazioni di Niccolò Copernico, il quale era riuscito a calcolare, con notevole accuratezza, sia l’anno solare che l’anno siderale. Fatti bene conti, al pontefice fu spiegato che per evitare errori futuri ogni 4 secoli bisognava saltare tre anni bisestili e per allinearsi all’anno solare bisognava portare l’«orologio» della storia avanti di 10 giorni. Così con l’apposita bolla papale «Inter gravissimas» impose che tutti si sarebbero coricati il 4 ottobre ma si sarebbero svegliati il 15.
La modifica entrò in vigore immediatamente in Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Polonia, Lituania, Belgio, Olanda e Lussemburgo e in tutti i paesi cattolici nell’arco di cinque anni.
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