Pacchiare, Pacchio, Pacchia. I primi due sono ormai in disuso, l'ultimo sostantivo invece gode ancora di ampie fortune, pur essendo arrivato ultimo. Pacchiare significa mangiare ingordamente, “assaporare un sugo, una bevanda smuovendoli golosamente con la lingua, tra i denti e il palato” (Treccani). Ma anche mangiare smodatamente, abbuffarsi. Al suono “acquacchiato” della bocca fanno riferimento anche il Cardinali Borrelli e il Tommaseo, avvertendo che si tratta comunque di espressioni “della plebe”.
Pacchio, molto semplicemente, è il cibo in generale, il pasto. Ma è virando al femminile che la parola s'imbelletta: pacchia è una mangiata, sì, ma in allegria, in abbondanza, una scorpacciata, una cuccagna. Da qui si estende ad alludere a una situazione straordinaria, vantaggiosa sul piano materiale; a una condizione di vita, di lavoro, facile e spensierata, particolarmente conveniente, senza fatiche o problemi, senza preoccupazioni. E' il lieto vivere: che pacchia! (Ma per il Rigutini Fanfani è, come primo significato, la pastura delle bestie).
Per la maggior parte degli autori si tratta di voci onomatopeiche, ma solo il Dir si spinge a dire che quel “pac” iniziale evoca un masticare rumoroso a bocca aperta. Le parole che ne derivano – aggiunge – evocano sempre intemperanza, mancanza di educazione, volgarità d'animo. Per la Crusca pacchiare è anche “mangiare in conversazione”.
Vari i satelliti, quali pacchiamento, pacchiata, pacchione. Invece pacchiano, che sembra parente prossimo - contadino, villano, grossolano, privo di buon gusto - viene fatto derivare direttamente dal dialetto napoletano, senza apparenti riferimenti al verbo pacchiare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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