Saggistica

D’accordo, alla fine la Giustizia magari non avrà trionfato, ma diciamo che ha vinto due a zero fuori casa. Il primo gol lo fece impacchettando un bel campionario di mafiosi, il secondo portando a casa sano e salvo il proprio uomo: Joseph Pistone, universalmente noto come Donnie Brasco, il cavallo di Troia infilato, sotto copertura, nell’Onorata Società. Però ci sono due però. Anzitutto, la sfida fra Bene e Male non è mai finita, e la partita di ritorno si sta ancora giocando (poi ce ne sarà un’altra, e un’altra ancora e via di seguito...). Inoltre l’inviato specialissimo Pistone, classe 1939, oltre a dover vivere, una volta ultimata la sua lunga missione, sotto una nuova copertura, questa volta esclusivamente difensiva, non è più la persona che era prima. A questo proposito, una domanda tormenta il comune cittadino: è possibile interpretare il ruolo del «bravo ragazzo» per sei anni senza che nel sangue ti s’insinui il virus del crimine?
La risposta che Joseph-Donnie diede in Donnie Brasco. La mia battaglia contro la mafia americana (Mondadori, 2009) era un «sì» deciso. Tuttavia, leggendo il suo nuovo libro Cosa Nostra, istruzioni per l’uso (ancora Mondadori, pagg. 178, euro 17,50, traduzione di Marco Lunari) pare essere leggermente più articolata, e suona grosso modo così: non è detto, ma l’importante è dotarsi degli anticorpi giusti. E siccome non ci permettiamo di dubitare dell’onestà del fiore all’occhiello dell’Fbi, chi meglio di lui può aiutarci a capire come si fa a vaccinarsi contro la terribile malattia?
La regola numero 1 è mantenere la calma. Anche quando vieni «convocato». Essere «convocato» non è come essere «nominato» al Grande fratello: invece delle pernacchie dei compagni e del pubblico, nove volte su dieci ti prendi una bella palla in fronte. Se ti va bene. Per mantenersi freddi nelle sparatorie, nelle riunioni di «famiglia», durante le irruzioni della polizia, spiega Pistone, è sufficiente (beato lui) sapere che la morte ti cammina al fianco, proprio come faceva il grande Al Pacino (alias Lefty Ruggiero) con Johnny Depp (bravo, certo, ma troppo bello e troppo poco «maledetto» per vincere, nel gradimento del pubblico maschile, il confronto con lo shakespeariano amico-nemico).
La regola numero 2 è essere affidabile. Per essere affidabile occorre fare, in tutto e per tutto, ciò che fanno gli altri «ragazzi», quelli che aspirano ad essere «associati». Detto in due parole: scrupoli zero. Non tenere famiglia, in ciò, aiuta molto. Ma quando si tratta di spaccare le ossa a un tale che ritarda troppo nel pagamento del pizzo, come la mettiamo? Lo si fa senza discutere. Più di una volta Pistone ha deciso anzi di prendere lui l’iniziativa, ottenendo due risultati: far bella figura con chi di dovere e risparmiare la vita al malcapitato, picchiando duro, ma fino a un certo punto. «Non ho mai ucciso», dice giustamente con orgoglio il Nostro, prima di confessare che, in questo come in altri aspetti della sua avventura, la fortuna gli ha dato una bella mano.
La regola numero 3 è non allargarsi troppo. Ai boss non piace la gente che si allarga. Quasi preferiscono quelli che vogliono farli fuori, ma chi alza troppo la cresta può finire tranquillamente a pezzi in un bidone della spazzatura. Per non allargarsi troppo bisogna assecondare usi e manie, tipicamente piccolo borghesi, dei mafiosi: lodare la loro cucina (le origini italiane vengono puntualmente a galla, oltre che nella parlata in broccolino, a tavola: saper fare un buon sugo per gli spaghetti significa guadagnare cento punti in classifica); non sfiorare nemmeno con lo sguardo le loro mogli e sorelle (ma darsi da fare con le donne: nell’enciclopedia della mafia non si trova una sola riga sui gay, eppure con tutti quei baci che si danno, chissà che sotto sotto qualcuno...); ottemperare agli obblighi familiari tipo la messa la domenica, i compleanni, la decenza nel vestire e nel condurre una vita apparentemente pulita...
Poi ci sono altre regole di contorno, dei corollari che fanno dell’infiltrato un dottor Jekyll e mister Hyde che cammina sulla lama del rasoio e non può permettersi di sbagliare mezza mossa. «Le conoscevo talmente bene - dice Pistone - che avrei potuto diventare un mafioso ben prima di entrare nell’Fbi. Ma i miei genitori erano due persone perbene, due grandi lavoratori che mi hanno instillato una solida etica del lavoro. E ho preso un’altra strada». La strada che lo ha portato a sfangarla con tutti gli onori. Lo capì soprattutto quando, sul set di Donnie Brasco, il film del ’97 diretto da Mike Newell, gli si avvicinò timidamente una vecchia conoscenza, qualcosa di più di un semplice «bravo ragazzo».

Pistone suda freddo, ma, come sempre, passa al contrattacco, perché ha capito d’essere stato riconosciuto: «Albie, c’è qualche problema? Posso aiutarti?». L’altro tentenna e poi sputa il rospo: «Mio figlio vuole fare l’attore. Speravo potessi dargli una mano, magari farlo assumere come comparsa».

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