Fu il personaggio più vilipeso, incompreso, odiato dei suoi tempi. Lo definirono avaro, inconcludente, debosciato, invidioso, inconcludente e anima nera del Secondo Impero. Poche voci si levarono in sua difesa. Fra queste, quella dello storico Ernest Renan che scrisse alla principessa Matilde Bonaparte che il tempo avrebbe fatto giustizia, dimostrando come lazione del principe Napoleone fosse stata «profonda e spesso decisiva» e che egli sarebbe apparso ai posteri come «il buon genio dispensatore di buoni consigli» e non certo il responsabile di colpe ed errori che, pure, avevano segnato la storia del suo tempo.
Una «leggenda nera» accompagnò, insomma, la vita e il ricordo postumo di Napoleone Giuseppe Carlo Bonaparte detto Gerolamo e più conosciuto con il nomignolo di Plon-Plon. Questultimo appellativo sembra fosse un vezzeggiativo usato, fin dallinfanzia, al posto di Napoléon, ma le voci malevole sostenevano che derivasse da unespressione, «Craint-plomb», che denotava mancanza di coraggio, poi corretta in «Plomb-plomb» e infine trascritta, così come si pronuncia, in Plon-Plon.
A tratteggiare un ritratto completamente diverso dallo stereotipo negativo che ha accompagnato il nome del principe Napoleone ha provato - e con successo - una studiosa francese, Michèle Battesti, con una splendida biografia dal titolo Plon-Plon. Le Bonaparte rouge (Perrin, pagg. 624, euro 27) pubblicata sotto gli auspici della Fondation Napoléon e basata, oltre che sulla letteratura storiografica sul protagonista e sul Secondo Impero, su unattenta consultazione delle carte del principe. Carte, queste, che - lo si ricorda per inciso - erano state per la prima volta visionate - quando non erano state riordinate e facevano ancora parte di un archivio domestico conservato nel castello bonapartesco di Prangins - da uno storico italiano, Alfredo Comandini, il quale le aveva utilizzate per un libro, Il principe Napoleone nel Risorgimento Italiano (Treves, 1922), che ebbe il merito di tratteggiare un ritratto di Plon-Plon, sia pure limitatamente ai suoi rapporti con lItalia, lontano dalle malignità e dalle calunnie dei suoi detrattori. Scritta con gusto, la biografia di Battesti, studiosa specialista della storia militare francese dellepoca napoleonica e del Secondo Impero, è probabilmente lopera definitiva su questo «personaggio da romanzo» che ha avuto unimportanza non secondaria anche per la storia del nostro Paese.
Plon-Plon non solo amava lItalia, vi era anche nato, a Trieste, nel 1822 da Girolamo Bonaparte, il fratello minore di Napoleone, e dalla principessa Caterina di Württemberg e vi sarebbe morto, a Roma, nel 1891. Anchegli, come il cugino Luigi Bonaparte, il futuro Napoleone III, era vissuto nel mito dello zio, al quale, anzi, somigliava in modo impressionante. Il culto del grande Napoleone lo alimentava ergendosi quasi a ideale esecutore testamentario del Memoriale di SantElena. Fatto, questo, che il suo imperiale cugino, autore di un celebre saggio sulle Idee napoleoniche, non riusciva proprio a mandar giù. Quando un giorno Luigi Bonaparte gli disse: «Del grande imperatore lei non ha nulla», laltro gli rispose piccato: «Ho la sua famiglia». Tuttavia i rapporti fra i due non furono mai particolarmente cattivi, anche se il primo fece una certa fronda al cugino imperatore e sperò di succedergli dinasticamente. E, dopo la morte del figlio di Napoleone III, divenne di fatto il capo riconosciuto della famiglia Bonaparte, il custode ufficiale del bonapartismo.
Erano stati, i due cugini, partecipi del mondo carbonaro e settario della prima metà del secolo ed erano stati compagni di avventure galanti. Certo, Plon-Plon era molto più radicale nelle sue idee in campo economico e sociale e ostentava un repubblicanesimo acceso al punto da essere definito il «Bonaparte rouge». Tuttavia Napoleone III ne favorì, in qualche misura, le ambizioni assegnandogli, per esempio, dopo lelezione a Presidente della Repubblica, lambasciata di Madrid e, divenuto imperatore, caldeggiandone la nomina a generale di divisione dellesercito francese. E ancora, dulcis in fundo, combinandone il matrimonio con Clotilde di Savoia, la giovanissima e devotissima figlia di Vittorio Emanuele II, come una delle condizioni per la stipula dellalleanza tra Piemonte e Francia.
Quando venne informato dellidea di sancire lalleanza politica con unalleanza dinastica tra i Savoia e i Bonaparte, Vittorio Emanuele II se ne uscì con un commento secco riferito al pretendente: «Quello è matto». Non erano soltanto la differenza di età tra Girolamo e Clotilde a preoccuparlo (Clotilde aveva 21 anni meno di Girolamo) o gli altri progetti matrimoniali per la figlia che vedeva sfumare, quanto la fama di anticlericale, ateo e donnaiolo impenitente che circondava Plon-Plon. E che questi, con i suoi comportamenti, si guardava bene dallo smentire. Il «sacrificio» di Clotilde - che, però, una volta conosciuto il pretendente disse alla sua amica contessa di Villamarina di averne apprezzato «laspetto buono», il «molto spirito» e, soprattutto, il «molto tatto» - consentì, dunque, lalleanza fra Piemonte e Francia e fu, in un certo senso, la premessa della seconda guerra dindipendenza. Alla cui preparazione diplomatica proprio Plon-Plon, come dimostrano tanti documenti, si rivelò davvero, per Vittorio Emanuele II e per Cavour, un alleato provvidenziale. Che il principe Napoleone volesse realmente, fino al punto da ricevere qualche «tirata dorecchio» dal suo imperiale cugino, lunificazione italiana è fuor di dubbio. E lo si sarebbe visto anche dopo, quando in più occasioni non esitò a sostenere pubblicamente i diritti dellItalia, ricevendo ringraziamenti da Cavour e dal Re.
Allimmagine pubblica di Plon-Plon nocquero gli odi dei suoi avversari politici e le sue stesse intemperanze amorose che lo portarono a collezionare amori e amoretti con attrici famose e cortigiane più o meno note, ma sempre al centro dei pettegolezzi degli ambienti mondani del Secondo Impero. Odi e intemperanze che ne oscurarono lintelligenza politica, il sincero amore per le arti e la profonda cultura testimoniata da rapporti di frequentazione e di profonda amicizia con gli intellettuali più significativi del tempo, da Proudhon a Flaubert, da Renan a Taine, da George Sand ad Alexander Dumas.
La biografia di Michèle Battesti ha certamente una forte carica empatica nei confronti di Plon-Plon e, unica fra le non molte dedicategli, si sofferma sulla sua formazione intellettuale, i gusti artistici, i contatti con leffervescente mondo intellettuale del Secondo Impero e dellalbeggiante Belle Epoque. Ma, soprattutto, mostra come - attraverso conversazioni private, discorsi, articoli e una non troppo dissimulata fronda - Plon-Plon abbia svolto un ruolo politico importante prendendo parte ai dibattiti politici del tempo sulla democrazia, sul suffragio universale, sulle libertà, sulla laicità, sulle condizioni degli operai, sullinsegnamento gratuito e obbligatorio e via dicendo. Uomo ricco di contraddizioni, fu un autentico individualista, progressista e illuminista certo, nemico di quella che definiva l«ipocrisia borghese», ma al tempo stesso rispettoso dei valori e delle istituzioni che i suoi concittadini, borghesi compresi, consideravano sacri, dalla famiglia alla religione, dallesercito ai costumi antichi.
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