nostro inviato a Gorizia
Chilometri e chilometri scavati nella terra e nella roccia. Milioni di uomini trasformati in talpe, immersi nel fango o infrattati tra i sassi delle vette alpine. Un inferno, durato anni, e che nessuno prima del divampare del conflitto si aspettava. Una guerra modernissima che costringeva popoli civilizzati a tornare a vivere come cavernicoli. La tecnologia più raffinata che invece di produrre le magnifiche sorti e progressive riconduceva tutti a una violenza barbarica. Questo il quadro generale che descrive le sofferenze di chi ha combattuto durante la Prima guerra mondiale. A cent'anni da quel conflitto, però, resta ancora difficile capire come si sia arrivati a tanto. Ed è uno dei temi su cui si dibatte di più alla decima edizione del festival èStoria di Gorizia che quest'anno, in occasione del centenario dello scoppio del conflitto, ha proprio come tema la Grande guerra. Ci sono ancora domande che continuano ad aleggiare come spettri. Si sarebbe potuto evitare lo scontro globale? I politici avevano margine di manovra? Furono gli apparati industriali ed economici a spingere verso il massacro? Ci si avviò verso le trincee come «sonnambuli» (si intitola proprio così, I sonnambuli, uno dei best seller di quest'anno scritto dallo storico Christopher Clark)?
E c'è chi vede dei parallelismi tra le crisi di allora e quelle di oggi, anche politici navigati come Helmut Schmidt. L'ex cancelliere tedesco ha dichiarato in un'intervista, parlando della crisi Ucraina: «Si discute molto delle cause della Prima Guerra Mondiale che nessuno voleva eppure scoppiò... Una terza guerra mondiale è molto inverosimile, ma non totalmente impossibile».
A dare risposte, ieri, hanno provato alcuni dei massimi esperti del settore come Richard Hamilton, Holger Herwing e Gerhard Hirschfeld. E la loro narrazione degli eventi è piuttosto lontana da quella che siamo abituati a leggere nei manuali e anche dalle idee di Christopher Clark che adesso vanno per la maggiore. A esempio sulla genesi della guerra Richard Hamilton e Holger Herwing (hanno scritto insieme The Origins of World War I, Decisions for Wars, 1914-1917 e War Planing 1914, tutti pubblicati dall'Università di Cambridge) rifiutano l'idea che la prima guerra mondiale sia stata una guerra capitalistica. Spiega Hamilton che insegna all'Università dell'Ohio: «Gli ismi, da capitalismo a militarismo, con lo scoppio della guerra c'entrano pochissimo. Per anni è andata di moda la teoria marxista secondo cui il conflitto fosse nato sotto la spinta degli industriali. Ebbene, tutta la documentazione che abbiamo prova invece che ne avevano una grande paura, temevano compromettesse i commerci e i mercati. Dicevano ai governi stiamone fuori... Poi, ovviamente, a guerra iniziata si adattarono. La guerra è nata da precise decisioni nate in ambienti ristretti. Dalle scelte sbagliate fatte da pochi uomini. Io credo che le pagine di molti manuali scolastici andrebbero cambiate».
Men che meno i due studiosi accettano qualsiasi forma di determinismo, l'idea che ci sia stato un gorgo di eventi ingovernabili. Herwing, che insegna storia all'Università di Calgary, parlando sotto la tenda Apih ha detto: «Macché sonnambulismo, macché classe dirigente sopraffatta dagli eventi. C'erano piani e ci sono stati incidenti imprevedibili come quello di Sarajevo. L'inevitabilità è un'idea molto assolutoria. Ma è un'evidenza che quasi tutti i Paesi avevano preparato piani militari di aggressione molto precisi. Li conosciamo, e si evolvevano di anno in anno».
Abbastanza in sintonia è Hirschfeld: «Io in Germania ho presentato il libro di Clark che ha il pregio di essere scritto in modo meraviglioso, con una capacità narrativa che gli invidio moltissimo. Però l'idea dei sonnambuli non convince neanche me... Ci sono una trentina di persone nel mondo che hanno marciato verso la guerra sapendo quello che facevano. Nelle quattro settimane dopo Sarajevo si sarebbero potute fare cose ben diverse. Non erano sonnambuli, erano giocatori d'azzardo che fecero le loro puntate... Ciò che del gioco non hanno mai previsto era la durata. I piani di tutti parlavano di mesi».
Ma al giorno d'oggi una situazione del genere potrebbe capitare ancora? Un monito come quello dell'ex cancelliere Schmidt che teme i risultati di una linea dura verso Putin non è sottovalutabile. Gli storici però sembrano vederla diversamente. Qualcuno sorride. Ma Hirschfeld, connazionale di Schmidt, argomenta così: «La storia non si ripete mai. Le circostanze sono troppo diverse. Certo, l'egoismo degli uomini o la volontà di potenza restano forse gli stessi, ma in questa particolare crisi rispetto alla Prima guerra mondiale abbiamo una serie di vantaggi... In primis la presenza di organismi internazionali molto più funzionanti. Insomma ci sono tutti dei meccanismi per stemperare le crisi. In secondo luogo una società molto più informata e politicamente attiva. Siamo in un mondo dove è meno facile trascinare le nazioni verso il baratro». Quindi niente più sonnambuli o giocatori d'azzardo? «Ora il contatto è direttamente tra i leader. Possono parlarsi.
Non ci sono più le lentezze e le incomprensioni provocate dai macchinosi sistemi burocratici. Basta una telefonata. Non ci si deve più per forza fidare di un ambasciatore che fa il telefono senza fili. Questo dovrebbe abbassare di molto i rischi». Speriamo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.