Se per la Crusca l’italiano è troppo "macho"

Secondo l’Accademia della Crusca, la nostra lingua è troppo declinata al maschile. Ma come, abbiamo appena eliminato l’articolo femminile e adesso è troppo maschile?

Se per la Crusca l’italiano è troppo "macho"

Allora, riepiloghiamo: il fascismo abolì il «Lei» perché era troppo poco maschio, e questo si sa. Più recentemente, ai tempi di Marrazzo, il problema linguistico erano i trans, si doveva dire le trans, perché dire i trans era da stronzi. Infatti Repubblica scriveva le trans, il Giornale i trans. Dopodiché è arrivata la Fornero, che al contrario ha reputato sessista l’articolo «la», quindi bisogna chiamarla il Ministro Fornero, o al massimo solo Fornero, e siccome c’era l’entusiasmo per il governo tecnico tutti si sono adeguati, adesso guai a dare della «la» a una, si offende di meno se le dai del maschio, anzi. A questo punto, confesso, mi stavo adeguando perfino io e il mio ultimo amore, Selvaggia Lucarelli, per correre rischi la chiamo Lucarelli, su Twitter le scrivo «Lucarelli ti amo», sperando non si innamori di me Carlo. Nel frattempo però arriva l’Accademia della Crusca, nella persona del presidente Maraschio, che siccome si chiama Nicoletta deduco sia una donna, la quale sostiene, colpo di scena, al contrario del dizionario Fornero, che la nostra lingua è troppo declinata al maschile. Ma come, abbiamo appena eliminato l’articolo femminile e adesso è troppo maschile? Attenzione perché la questione è serissima, mica pizza e fichi o pizzi e fiche: il 24 maggio si terrà addirittura un convegno, intitolato «Genere e linguaggio», convegno dedicato alle modalità con cui il mondo femminile viene rappresentato attraverso le parole e le immagini, un titolo talmente mortuario che se lo sente Gad Lerner ci fa subito una puntata delle sue. Tra l’altro anche l’onomastica delle tre relatrici è perfetta per Lerner: con Maraschio ci sono Robustelli e Spacchini, sembra una riunione dell’Arcilesbica. Insomma lì a Firenze si dibatterà di «maschilismo linguistico», quello che, «tanto per fare un esempio, porta a usare il termine uomo anche per indicare la donna, e questo convegno vuole essere un contributo per cambiare questo costume sbagliato. È chiaro che si tratta di un percorso lungo e difficile. Nell’attesa potremmo cominciare a esercitarci». Dice proprio così, bisogna esercitarsi. Boh, cosa mettere al posto di «Homo» non saprei, mi verrebbe in mente «Uovo», per assonanza pratica, è maschile ma suona abbastanza neutro e al plurale diventano le uova, quindi l’Uovo Sapiens forse potrebbe andare. Ma poi qualche maligno si chiederebbe se è nato prima l’uovo o la gallina, e queste si incazzano. No, cosa ho detto, incazzarsi no, per carità, altro problema. A pensarci mi torna in mente che Pier Paolo Pasolini scriveva «la glande» al posto de «il glande», perché l’etimologia viene da ghianda, potrebbe essere un’idea da recuperare. Magari augurandoci di non finire come in Svezia, dove nei negozi d’abbigliamento hanno abolito i reparti uomo e donna, e nella versione online dell’Enciclopedia Nazionale è apparso in questi giorni il pronome neutro «hen», da usare al posto di «han» (lui) e «hon» (lei).

Certo che così diventa complicato anche avere un rapporto sessuale, non si sa chi lo mette né chi lo prende né perché, ti abbassi i pantaloni già con il senso di colpa del simbolo fallico e ti tocca scusarti fin da subito: no cara, non è come sembra, lui si chiama Hen.

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