Sgalambro, il filosofo che cantò il nichilismo

Vicino alle idee di Nietzsche e Cioran, negli anni '80 fu lanciato dall'editore Adelphi. Il sodalizio con Franco Battiato gli diede enorme popolarità. E forse riuscì a mitigare il suo "odio per la realtà"

Sgalambro, il filosofo che cantò il nichilismo

A 90 anni è morto a Catania il fi­losofo Manlio Sgalambro. Auto­re di saggi (pubblicati da Adel­phi e Bompiani) nei quali ha ap­profondito specialmente la ri­flessione sull’etica, Sgalambro è stato anche paroliere per Franco Battiato. Suoi testi sono stati cantati da molte star, da Milva a Carmen Consoli. I fune­rali si svolgeranno oggi alle 15.30 nella chiesa Crocifisso dei Miracoli a Catania.

«Il nascere e il morire sono i due momenti unicamente reali» (Manlio Sgalambro, Il cavaliere dell'intelletto). «Si nasce e poi si muore. Il resto sono chiacchiere» (Altan, in una formidabile vignetta su Repubblica, precedente a Il cavaliere dell'intelletto).
Il filosofo della domenica è una figura antropologica molto diffusa, senza limiti di spazio e di tempo. Grandi pensieri, idee straordinarie, visioni del mondo irresistibili sono i tratti distintivi di chi sa «prenderla con filosofia». Il filosofo della domenica oltrepassa la Storia, perché lui è l'inizio e la fine della storia della filosofia, che, appunto, ignora.
Ci sono, poi, i filosofi di professione, che sarebbe più prudente chiamare «professori di filosofia» e che, per il solo fatto di avere una cattedra - o qualcosa del genere - diventano automaticamente «filosofi». Uno peggio dell'altro: quello della domenica pensa di possedere la pietra filosofale; quello della scuola pensa che insegnare la filosofia degli altri lo renda immediatamente filosofo.
Manlio Sgalambro non è stato né l'uno né l'altro perché ha riassunto entrambi con genialità. Forse il segreto per essere un vero filosofo? D'altra parte, raccontando di sé, dichiarò anni fa di non essersi iscritto alla facoltà di Filosofia bensì a quella di Giurisprudenza (senza laurearsi mai) perché la filosofia la «coltivava già autonomamente»; quando si trovò a spiegare la sua attività di paroliere per il musicista Franco Battiato o per Patty Pravo o per Fiorella Mannoia o per altre star della musica leggera, dichiarò: «Dobbiamo sgravare la gente dal peso del vivere, invece di dare pane e brioche. Questa volta mi sono sgravato anch'io. E poi la musica leggera ha questo di bello, che in tre minuti si può dire quanto in un libro di 400 pagine o in un'opera completa a teatro».
Tra i filosofi, Sgalambro divenne un nome conosciuto (e invidiato) quando l'editore Adelphi gli pubblicò il volume La morte del sole, del 1982 (poi arriveranno, tra gli altri, Trattato dell'empietà, Del pensare breve, Dell'indifferenza in materia di società, De mundo pessimo...); tra il grande pubblico fece breccia non appena iniziò il suo sodalizio con Battiato, nel 1993. Allora, il mondo dell'Accademia sgranò gli occhi e storse il naso di fronte al filosofo che si era manifestato come erede del nichilismo di Nietzsche e di Cioran: il pensatore austero, senza sorriso e senza colore (sempre in nero) convertito al pop-nichilismo.
Una contraddizione, un non senso? In tutte le sue interviste, Sgalambro ha sempre mostrato linearità, se non coerenza, nella sua conversione «popolar» nichilistico-pessimistica. Nei libri pubblicati da Adelphi, il pensiero di Sgalambro esprime una delle tante visioni della fine della modernità, con la sua ricerca (impossibile, vana) del «conferimento» di senso a un mondo che non può avere senso. «È sempre un odio per la realtà che ci trascina a pensare», diceva, e questo stato d'animo alla Cioran lo ha portato a filosofare in sintonia a quel nichilismo che aveva caratterizzato il pensiero di Dostoevskij e poi di Nietzsche. Pessimista cosmico (ieri l'amico Massimo Cacciari ha detto che «la sua filosofia era molto leopardiana, una filosofia dolorosa ma vera: il suo sguardo spietato nei confronti delle nostre miserie»), Sgalambro ha avuto la fortuna (il merito) di essere stato eletto a filosofo dall'editore Adelphi, elezione a filosofo molto più importante di quella che avrebbe potuto ottenere con la vittoria a un concorso a cattedre in Filosofia.
Diventa difficile capire se «l'odio per la realtà» lo abbia spinto anche a scrivere canzonette, attività che sarebbe stata più comprensibile in un filosofo decostruttivista alla Derrida. In questa circostanza, come per i suoi libri (sia quelli usciti da Adelphi che quelli apparsi da Bompiani, tra i quali l'ultimo, recentissimo, è Variazioni e capricci morali), Sgalambro ha trovato una sponda di grande livello in Franco Battiato che gli ha permesso di non ruzzolare nella banalità. Almeno credo.

E tuttavia non va dimenticato - e anche su questo gli studiosi del pensiero sgalambriano potranno esercitarsi - che un tempo importante della vita, egli lo ha dedicato alla musica leggera, evidentemente trovando quel «conferimento di senso» che non coglieva, anzi rinnegava, nella filosofia.

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