La speranza della disperazione

La speranza della disperazione

Quattro anni guardando la tua migliore amica consumata da una malattia incurabile è un’esperienza lacerante, ancor più quando l’amica «ti ringrazia di averla accompagnata al confine» e ti chiede «di raggiungerla da qualche parte al limite del muro». È accaduto alla giornalista Stefania Rossotti la quale, per raccontare la sua esperienza, è andata alla ricerca di donne che sono in contatto con l’aldilà nel libro Ti parlo da una vita (Mondadori), sottotitolo «Donne che non hanno creduto al silenzio»». Non veggenti di dubbia moralità, né ciarlatane a caccia di denaro o discepoli, ma persone che hanno trasformato la disperazione per la perdita di qualcuno (perlopiù un figlio) in una ricerca che dal dolore porta alla speranza. Come Gemma Cometti, ispiratrice del volume. Dopo la morte del figlio 16enne ha vissuto una lunga agonia finché, armata di registratore, «con la testa nelle mani e i gomiti poggiati sulle gambe», ha passato tre mesi e mezzo ad ascoltare il sibilo del silenzio prima di sentire l’agognata parola «mamma!». Ora è felice e nega di essere una medium. «Nessun dono, l’ho fatto per necessità, a chi mi chiede notizie sul futuro dico: “vai da una chiromante”. A chi mi chiede di risolvere un problema replico: “sapesse che problemi ho anch’io”». È felice così, con la certezza che suo figlio è al suo fianco, anche se non sa spiegare dove.

Come le altre protagoniste del libro, da Marta Toniolo che ha pubblicato i messaggi ricevuti dal figlio a Monica Calabresi che ha fondato un’associazione per la cura di bambini terminali. Non lucrano sui loro «poteri», hanno semplicemente ritrovato la serenità. Suggestioni o miracoli? E, soprattutto, come si esce da un colloquio con chi se n’è andato?

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