Storia d'assalto

Le spiagge invase dai cadaveri: l'inferno della battaglia di Gallipoli

Nel febbraio del 1915 iniziarono le operazioni per invadere la penisola di Gallipoli, oggi in Turchia. Le forze alleate provarono a occupare la terra in mano ai turchi: si risolse in un bagno di sangue

Le spiagge invase dai cadaveri: l'inferno della battaglia di Gallipoli

Il 17 febbraio 1915 due aerei decollano dalla portaidrovolanti britannica Hms Ark Royal per osservare le difese ottomane nella penisola di Gallipoli. Un volo breve che serve a confermare i piani degli strateghi inglesi, convinti che solo un'azione di forza avrebbe costretto gli ottomani a capitolare lasciando entrare gli Alleati a Costantinopoli dopo il blocco dei Dardanelli.

Lì dove il mito racconta che nacque Dardano - colui che diede origine alla dinastia che regnò su Troia - la terra e il mare si uniscono in un affascinante insieme di colori. Il blu del mare, il giallo ocra della sabbia, il verde degli arbusti si fondono in un mosaico che agli occhi dei piloti britannici appare perfetto per colpire con l'operazione pianificata da Londra.

Le fortezze ottomane sembrano buone, ma non inespugnabili. Gli idrovolanti eseguono alcune perlustrazioni individuando i punti che considerano più facili da colpire e quelli più complessi, dove è necessario l'intervento delle navi della flotta Alleata. Le difese turche sono state rinforzate da poco. i consiglieri militari del Kaiser hanno spiegato agli ottomani dove blindare i Dardanelli: i forti di Sedd el Bahr e Kum Kale osservano l'imboccatura dello stretto; mentre nella parte meno ampia, dove i Dardanelli sono larghi all'incirca un miglio, l'artiglieria turca offre un linea del fuoco molto più impegnativa, con due fortezze, quelle di Kilid Bahr e Çanakkale, a colpire ogni nave nemica che sceglie di solcare le acque degli stretti. Ottantamila uomini appartenenti alla Quinta armata ottomana, di cui una delle divisioni è comandata da Mustafa Kemal, sono stanziati sul fronte in attesa di una possibile invasione. La marina, ormai azzerata, non è in grado fornire un vero muro alle mire Alleate.

Tornati sulla Ark Royal, i piloti degli idrovolanti sono convinti di aver svolto il lavoro nel miglior modo possibile. La missione è stata compiuta, certo. Ma nessuno può immaginare il destino che aspetta quella campagna rimasta nella storia come una delle peggiori disfatte dell'Impero britannico. Nella nebbia delle rive del Tamigi, il governo inglese, con Winston Churchill all'Ammiragliato, ragiona da anni sulla possibilità di colpire la Mezzaluna nel cuore del suo potere marittimo: il controllo degli Stretti. Solo quella prova di forza avrebbe piegato definitivamente la Sublime Porta. Churchill però non aveva fatto i conti con la possibilità che il blitz sognato da Londra si sarebbe trasformato in un bagno di sangue di quasi un anno.

Con le prime luci dell'alba del 19 febbraio, un cannone turco spara il primo colpo contro la flotta anglo-francese posizionata davanti alle coste della penisola di Gallipoli. Due ore dopo è la corazzata britannica Cornwallis alle 9:51 a lanciare un nuovo proiettile. La Royal Navy si rende conto che la distanza non permette di colpire i forti turchi: è necessario avanzare rischiando di rimanere inerti di fronte all'artiglieria ottomana. Il 25 febbraio, dopo una settimana di mare in burrasca e piogge torrenziali, la flotta Alleata riprende gli attacchi: la situazione però non è così semplice come appariva a Londra. I forti ottomani sono ben nascosti e diventa impossibile attraversare gli stretti senza rischia di vedere colare a picco le navi impegnate negli scontri a fuoco. Per settimane gli anglo-francesi provano a dragare i Dardanelli e fanno sbarcare alcune piccole guarnigioni di fanteria per distruggere i forti abbandonati dagli ottomani, ma l'impressione è che non sia possibile forzare così facilmente quello stretto che basa tutta la strategia di Costantinopoli.

Un mese dopo, quando il mare offre condizioni meteo più favorevoli, l'ammiraglio John de Robeck lancia l'attacco generale. Gli Alleati schierano 18 corazzate, più altre navi di appoggio. La flotta ingaggia un durissimo scontro con le fortezze ottomane, ma il tributo pagato dalle marine francese e inglese è pesante: affondano tre corazzate, devastate da una barriera di mine, mentre altre navi sono rese inutilizzabili dalle bombe. De Robeck ritiene che non sia possibile arrivare con la flotta davanti Costantinopoli e ferma l'operazione navale chiamando Londra: è il momento dello sbarco dell'esercito. Una scelta che si rivela funesta perché l'impero, in realtà, è praticamente stremato. I cannoni sono quasi inservibili e gli operai delle fabbriche di munizioni sull'orlo della rivolta. Ma a Londra non lo sanno e accettano la linea dell'ammiraglio.

Il 25 aprile, un esercito composto da australiani, britannici, francesi e neozelandesi sbarcano sulla penisola di Gallipoli. Sei spiagge diventeranno presto la tomba per decine di migliaia di giovani. La sabbia di Gallipoli si comincia a colorare del rosso del sangue di questi giovani inviati come forza anfibia in terra turca, mentre gli ottomani resistono pagando anche loro un enorme tributo in termini di vite. Interi reparti vengono annientati dai fucilieri ottomani che, dall'alto dei pendii a ridosso delle spiagge, colpiscono ogni soldato che capita a tiro. Una carneficina che diventa immediatamente un'immagine orrenda: le cronache narrano di un odore nauseabondo che si sprigiona dalle trincee scavate tra la linea ottomana e il mare. I cadaveri si ammassano lungo le linee di fuoco mentre tra le truppe dei dominions britannici e quelle anglo-francesi si accendono epidemie di tifo e dissenteria. In poche settimane, quasi 15mila soldati Alleati muoiono semplicemente per avanzare poche centinaia di metri. Il giovane Mustafa Kemal, che è riuscito a evitare che gli ottomani compissero l'errore di sottovalutare alcune mosse degli occidentali, ha escogitato una resistenza senza precedenti. E nel frattempo, insieme ai cadaveri, aumentano a dismisura anche i feriti e moribondi che non sono più in grado di essere curati.

Dopo mesi di resistenza senza tregua degli ottomani e tentativi di assalti Alleati finiti nel nulla, le forze che avevano tentato di prendere la penisola di Gallipoli sono costrette a evacuare. È impossibile dare una cifra esatta dei morti. Secondo le stime, si potrebbe arrivare anche a mezzo milione di vittime, considerando i morti per malattia che erano sopravvissuti al fuoco delle trincee ma non alle malattie esplose al loro interno. Altri studiosi ritengono che almeno centomila soldati morirono in combattimento, ma probabilmente sono stime viste al ribasso. Un conteggio che non è mai finito, così come il ricordo che è sempre presente nei Paesi coinvolti nella devastante campagna militare. Per la Turchia quell'ecatombe rappresenta la rinascita pagata col sangue dei martiri. Per i Paesi occidentali un incubo che non va dimenticato.

Oggi, in migliaia sono sepolti lì, di fronte al mare, dove le loro tombe vengono scalfite dal vento, dal caldo e dalla salsedine: gli stessi elementi che più di un secolo fa segnarono i corpi di quei giovani caduti.

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