Cultura e Spettacoli

A te che avrai 40 anni nel 2000

La nostra generazione ha fallito di fronte al Male. Chiunque tu sia ora sei l’ultima carta del mondo. L'eredità di Giovanni Arpino

A te che avrai 40 anni nel 2000

Ragazzo mio, sia tu sedicenne o ventenne, è del tuo futuro che dobbiamo parlare. È cominciato ieri, questo buio futuro, con l’alba degli Anni Ottanta. E tu, che sarai quarantenne o poco meno nel Duemila, proprio tu sei l’ultima carta del mondo. Sulla tua pelle, con o contro le tue forze, una sconosciuta Storia già sta costruendo le sue trame.

Chiunque tu sia, dobbiamo salutarti. Le tue mani rispondono in mille gesti, a pugno levato, unendo indici e pollici nella figurazione femminista, incrociandosi in preghiera. E sta bene. Purché si tratti di mani nude, non appesantite da armi. Noi vogliamo riconoscere, in ogni atto gestuale (come in un vagito) un segno da decifrare. Anche il gesto è linguaggio e sarebbe idiota negarlo.
Gli Anni Settanta ti hanno fatto nascere in una culla di terrori e di indifferenze più atroci del terrore. L’uomo ha inquinato il globo, ed il globo gli restituisce i veleni. «Morire è niente, perderti è difficile», diceva il tenero verso di un poeta italiano. È quanto vogliamo ripetere a te: perché non può esistere immagine di futuro se non v’è bellezza di gioventù. Tu la possiedi, tu devi tutelarla. Anche per eccessivi affetti gli adulti hanno tradito, fornendoti di ogni cosa, dal cibo alla vacanza, ma dimenticando un valore: l’esempio.

Tu senti parlare quasi ogni giorno della «caduta dei valori». Un filosofo di matrice marxiana, Lucio Colletti, afferma che se i valori sono caduti è perché sono scaduti. E aggiunge che sarebbero necessari nuovi principi, di serietà e severità e austerità. Discorsi ovvii, come ben puoi notare, che non abbisognano di citazioni strappate a Marx o a Weber o a Sant’Agostino. A furia di citare e interpretare e chiosare si adopera ormai il martello per rompere l’uovo.
Ma chi parla di un solo, autentico valore? Prima di tirar la cinghia, prima di ritrovar gusto nel lavoro, è urgente che tu riscopra un principio, molto solenne e molto semplice. Consiste nella sacralità della vita ovunque sia e comunque si formi questa vita. Senza la grandiosa certezza della sacralità, non nascerà alcun futuro e tu, quarantenne nel Duemila, potrai solo amministrare in un universo di orrori e pattumi, l’ultimo fiato della sopravvivenza animale.
Dalla sacralità di ogni vita dipende poi il dedalo dei mille fiumi in cui nuotiamo. Dalla conoscenza della sacralità sgorga il sapere possibile, sbocciano il desiderio e la carezza, la pace e il riposo, il riso e la festa. Nessuna legge, nessun maestro possono donarti questo dovere e questo potere del sacro, da misurare o con pupille evangeliche o con la casta durezza leopardiana.

Ecco cosa bisogna rispondere a chi piagnucola sulla «caduta dei valori» ma non ha altri dadi da gettare nel piatto. Se tu oggi sedicenne o ventenne, non strappi ai venti neri che ci tormentano e assassinano questa foglia vagante della sacralità umana, ogni storia finirà presto, ogni catastrofismo ballerà il suo pestilenziale trionfo.
La sacralità della vita impone rispetti, regole, attenzioni, sforzi educati, limita le impazienze, spalanca le finestre del riguardo, fa suonare le campane della generosità, scardina le losche serrature e i falsi sigilli che imprigionano le libere idee, qui e in Cambogia, in un villaggio e a New York.

Il nostro pianeta è imbottito da miliardi di morti nei secoli dei secoli. Ruota in cielo e ne costituisce forse lo specchio delle vergogne. Ma tocca a te, ragazzo, restituirgli una nuova forma di saggezza, ilare e tranquilla e equilibrata. Perché in ogni caso è sacro, e ogni goccia del tuo giovane sangue, e ogni tuo puro sguardo. Anche se sei diventato merce, allettata da forme educative vanesie e corrotte, anche se la tua stessa natura di «ragazzo» è stata manipolata da operazioni immonde.

Sei il latte dell’universo tu che dovrai reggere gli Anni Ottanta. Ma devi scioglierti dai lacci di un secolo nero, che ti ammazza, ti droga, ti istupidisce, ti annulla, ti seduce con lustrini di morte. Talvolta potrà fornirti aiuto più il silenzio che non la parola di un adulto. Questo silenzio non vuol pesare come una predica, non vuole neppure costituire insegnamento, ma si affida alla speranza che tu sei. Se tale speranza, foglia nel vento, verrà colta da te, allora diventerai davvero «grande».
Corrono sull’orlo di un vulcano, questi Anni Ottanta. E tu corri con loro. Forse mangeranno la tua anima, ma se questa tua anima avrà sapienza di sacralità, ecco che gli Anni Ottanta ti restituiranno una briciola di gioia, un’acqua chiara negli occhi, quella Pace e quell’Eros che soli fanno l’uomo.

E allora tu, quarantenne nel Duemila, potrai ricordarti pietosamente di noi, che fummo vecchi e tristi e colpevoli e disarmati davanti al male.
2 gennaio 1980

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