Un tuffo nel vero mare di Sicilia Così sono nati «I Malavoglia»

Esistono, letterariamente parlando, due Giovanni Verga (1840-1922). Il primo è stato uno scrittore prima patriottico, poi romantico e alla fine scapigliato. Questo scrittore, talentuoso e di mestiere, ha costruito i suoi archetipi letterari sul romanzo storico e sul feuilleton (già per questo un ribelle in un'Italia che era, letterariamente, accademica e ingessatissima). Da modelli come Dumas padre (I tre moschettieri) e figlio (La signora delle camelie), Eugène Sue (I misteri di Parigi), Feuillet (Il romanzo di un giovane povero) distilla, in un crescendo, un suo romanticismo carico di siciliana potenza espressiva: Amore e Patria (acerbo e mai pubblicato), I carbonari della montagna, Sulle lagune, Una peccatrice, Storia di una capinera, Eva, Tigre Reale. Ma questo Verga cesellatore di torride emozioni - ecco un assaggio di Tigre Reale: «e mi sembra d'averla ancora dinanzi agli occhi in quella gran sala d'albergo triste e nuda, mentre stendeva verso il fuoco le mani pallide e scintillanti di gemme, e mi fissava in volto gli occhi febbrili» - ad un certo punto muore. O quantomeno si trasforma.
Nessuna sciacquatura di panni in Arno, o rincorsa alla letteratura che allora si pensava alta, anzi. Un salto spericolato nella «sicilianitudine», nel basso, in quello che gli sembrava il Vero. L'inizio è noto: La novella Nedda. Non è ancora il Verismo ma è un indubbio cambio di rotta. E poi arriva il romanzo della svolta: I Malavoglia. Pubblicato dall'editore Treves, nel 1881, e cresciuto nella stessa «culla» delle novelle di Vita nei campi il testo nasce come un abbozzo di storia marinaresca, Padron 'Ntoni. Una cosa da poche pagine, come Nedda, diventa qualcosa di radicalmente diverso, attraverso un processo creativo incredibilmente portentoso, raccontato dagli appunti di Verga. Carte caotiche, scritte e riscritte di getto con un labile inchiostro viola. Ora il rapporto tra tutti questi materiali e il romanzo diventa pienamente fruibile per il lettore, infatti anche i Malavoglia entrano nell'edizione nazionale (Fondazione Verga - Interlinea, pagg. 566, euro 30, a cura di Ferruccio Cecco). Il professor Cecco che ha già curato alcune delle precedenti edizioni critiche (per il Polifilo nel 1995 e per Einaudi nel 1997) mette a disposizione del lettore un apparato notevolissimo che consente di leggere il testo in modo trasversale, avvicinando le varie redazioni e anche gli appunti dell'autore.
Giusto per dare l'idea della quantità dei materiali in appendice: la Prefazione rifiutata del 1881, gli appunti di Verga sullo svolgimento dell'azione, gli appunti sul carattere fisico dei personaggi che Verga utilizzava a mo' di promemoria -si era annotato anche i nomi delle costellazioni in dialetto siciliano-, gli elenchi di proverbi preparati per farli usare ai personaggi (soprattutto a padron 'Ntoni). E ovviamente tutti gli abbozzi. Dal brevissimo M1 formato da due carte «Di burrasche ne ho viste molte, e di peggio, durante i miei sessant'otto anni...» al molto più aderente al testo definitivo M9.
Per questa edizione poi il professor Cecco ha potuto leggere direttamente gli originali degli appunti verghiani che sono stati ritrovati da poco e ora sono presso il Fondo manoscritti dell'università di Pavia. In precedenza bisognava accontentarsi dei microfilm a colori in possesso della Mondadori. Le carte di Verga erano state affidate alla fine degli anni Venti, su iniziativa di Bottai, a Vito Perrone proprio per editare, con Mondadori, l'opera omnia. In effetti lo studioso pubblicò diversi volumi. Il primo, proprio I Malavoglia, uscì nel '39. Perroni alla fine però si rifiutò di riconsegnare i manoscritti, e iniziò una querelle che si è trascinata sino al 2012. Scesero in campo anche Montale e Quasimodo che denunciarono la «cattività delle carte». Ma in vano. Poi la figlia di Perroni, nel 2012, ha deciso di mettere all'asta da Christie's, a Milano, il fondo di Verga, «ereditato» nel 1978 alla morte del padre. Ma la Soprintendenza della Lombardia, intercettato il tentativo di vendita, avviato il procedimento di dichiarazione di interesse culturale, ha deciso l'affidamento all'Ateneo di Pavia e fa intervenire i carabinieri.
Ed è proprio a Pavia che il professore Cecco, come ci ha spiegato, «ha potuto esaminare per la prima volta gli originali, cosa che con carte così rovinante, scritte e riscritte, fa una grande differenza. Sino al sequestro, ad esempio, l'università di Catania aveva in originale solo la stesura definitiva». Un bel colpo filologico per la ripresa dell'edizione nazionale che prima era in carico a Le Monier era ora è passata a Interlinea. Di nuovo Cecco: «Era fondamentale mettere nella nazionale un capolavoro come i Malavoglia, ho potuto rivedere il tutto, eccezionalmente, con gli originali a Pavia. E ci sono anche molte altre cose in quel fondo che andranno catalogate e che cambieranno la nostra conoscenza dell'autore». Quanto al modo migliore di leggere I Malavoglia della «nazionale»: «Vedere come un autore procede nella creazione e nella correzione è fondamentale. Le correzioni di Verga arrivano sino alle bozze, danno l'idea del lavorio avvenuto tra il 1874 e il 1881. Da quel lavorio è nato il verismo. Il primo bozzetto è di una banalità sconvolgente e Verga era insoddisfattissimo. La ricerca espressiva per avvicinarsi alla realtà popolare senza essere caricaturale ha portato a soluzioni linguistiche che erano impensabili per l'epoca. Tutto giocato in partita doppia con Vita dei Campi.

Tanto per dire, Cavalleria Rusticana non è altro che una rielaborazione di una parte di una delle redazioni precedenti dei Malavoglia». Insomma mentre la Provvidenza affondava veniva a galla, faticosamente, una letteratura nuova. E ovviamente alla prima edizione fu un fiasco. Ma poi i vinti diventarono i vincitori, letterariamente parlando.

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